Le spezie sono utilizzate da sempre per scopi
alimentari e medicinali, praticamente in tutte le tradizioni etnobotaniche del
pianeta. Varie droghe vegetali ottenute da una moltitudine di specie botaniche infatti,
accanto a stimate proprietà organolettiche, esercitano anche benefici effetti
sulla salute grazie alla particolare fitochimica che le caratterizza: note ed
apprezzate le proprietà digestive, carminative ma anche antinfiammatorie,
antidiabetiche e antimicrobiche, nonché le qualità di bioenhancer proprie di
alcune di esse. Zenzero, pepe nero e pipli (Piper longum) costituivano ad
esempio il Trikatu (letteralmente: "i tre acri" o "i tre
pungenti"), miscela di spezie comunemente addizionata a moltissimi rimedi
Ayurvedici proprio al fine di incrementarne biodisponibilità ed efficacia.
A proposito delle citate proprietà antimicrobiche,
speso attribuibili a composti terpenici della frazione volatile, non si può
oggi non considerare anche l'impatto che queste spezie possono avere sul
microbiota intestinale(flora intestinale) la sua composizione e il suo
metabolismo. Più di un lavoro ha mostrato in vitro capacità
inibenti di specie batteriche proinfiammatorie, avvalorando invece proprietà
eubiotiche verso popolazioni di bifidobatteri e lactobacilli per molte spezie,
tra cui spiccano Zenzero e Curcuma.
Un recente ed interessante lavoro (Peterson
CT, et al., 2019) indaga più approfonditamente i risvolti clinici dell'utilizzo
di quattro diffusissime spezie (Curcuma longa, Zingiber officinale, Piper
longum, Piper nigrum) su qualità e metabolismo delle specie anaerobie che
compongono la nostra flora batterica. Lo studio ha rivelato che
l'implementazione di ogni singola spezia è in grado di influire in modo
significativo ed unico sulla composizione della microflora, mostrando una
particolare firma metabolica dipendente sia dalla composizione relativa dei
mono- e polisaccaridi contenuti sia dalle differenti altre specie fitochimiche,
in grado di alterare in senso salutistico non solo la composizione delle specie
presenti ma anche e soprattutto il
metabolismo collettivo della microflora.
Ad esempio la curcuma si è rivelata la spezia che
stimola maggiormente le specie producenti butirrato e propionato mentre si è
rivelata essere quella che genera le comunità meno funzionalmente connesse
-segno questo di una elevata selettività verso alcuni. Questi effetti
prebiotici vanno certamente ascritti nel novero delle attività biologiche delle
spezie che utilizziamo in cucina e medicina: potremmo allora concludere, a
ragion veduta, che le spezie migliorano la tavola non solo per il nostro palato
e la nostra salute, ma anche per tutti i commensali che ad essa si accostano.
( Tratto da Fitoterapia 33 14/07/2019 Peterson CT, et
al., Prebiotic Potential of Culinary Spices Used to Support Digestion and
Bioabsorption, Evid Based Complement Alternat Med, 2019 )
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