venerdì 15 ottobre 2021

Studio Italiano : forse inutile la terza dose Vaccino Covid 19 ?

 


La seconda dose di vaccino anti-Covid produce non solo la risposta anticorpale ma crea anche la memoria immunologica capace di proteggere a lungo termine la persona. Lo dimostra uno studio del Laboratorio di Neuroimmunologia dell'ospedale Santa Lucia IRCCS di Roma

Via libera dall'Ema alla terza dose dei vaccini Covid: può essere somministrata agli immunodepressi almeno 28 giorni dopo la seconda dose. La raccomandazione dell'Agenzia Ue basata ad Amsterdam, si legge in una nota, arriva dopo che gli studi condotti hanno indicato che una extra dose di questi vaccini aumenta la capacità di produrre anticorpi contro il virus che causa il Covid-19 in pazienti che abbiano subito un trapianto e quindi abbiano un sistema immunitario indebolito. Dose aggiuntiva
In particolare il Chmp ha concluso che è possibile somministrare una dose aggiuntiva dei vaccini anti-COVID-19 Comirnaty (BioNTech/Pfizer) e Spikevax (Moderna) a persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, almeno 28 giorni dopo la seconda dose. La raccomandazione giunge dopo che alcuni studi hanno dimostrato che una dose aggiuntiva di questi vaccini ha aumentato la capacità di produrre anticorpi contro il virus che provoca COVID-19 nei pazienti che hanno subito un trapianto d’organo e che presentano un sistema immunitario indebolito. Sebbene non vi siano evidenze dirette del fatto che la capacità di produrre anticorpi in questi pazienti abbia protetto contro COVID-19, si prevede che la dose aggiuntiva aumenti la protezione almeno in alcuni pazienti. L'EMA continuerà a monitorare tutti i dati sull’efficacia che saranno disponibili.
 Dose di richiamo (booster)
È importante distinguere tra dosi aggiuntive per coloro che presentano un sistema immunitario indebolito e dosi di richiamo per le persone con sistema immunitario normale. In quest’ultimo caso, il CHMP ha valutato i dati relativi a Comirnaty che mostrano un aumento dei livelli anticorpali a seguito della somministrazione di una dose di richiamo circa 6 mesi dopo la seconda dose, in persone di età compresa tra 18 e 55 anni.
Sulla base di tali dati, il Comitato ha concluso che si possono prendere in considerazione dosi di richiamo almeno 6 mesi dopo la seconda dose per le persone di età pari o superiore a 18 anni. La somministrazione della dose di richiamo seguirà le raccomandazioni ufficiali a livello nazionale definite dalle autorità sanitarie pubbliche, tenendo conto dei dati emergenti sull'efficacia e delle eventuali incertezze in merito alla sicurezza. Il rischio di condizioni infiammatorie a carico del cuore o altri effetti indesiderati molto rari dopo un richiamo non è noto ed è oggetto di attento monitoraggio. Come per tutti i medicinali, l'EMA continuerà a esaminare tutti i dati sulla sicurezza e l'efficacia del vaccino. Al momento, il CHMP sta valutando i dati a sostegno della dose di richiamo per Spikevax. L'EMA renderà noto l’esito una volta completata la valutazione.
Campagne nazionali di immunizzazione
L’Ema ha sottolineato poi che l'attuazione delle campagne di vaccinazione nell’Unione europea rimane prerogativa dei gruppi nazionali di consulenza tecnica per l’immunizzazione (NITAG) che orientano le campagne vaccinali in ciascuno Stato membro dell’UE. I NITAG sono nella posizione migliore per tener conto delle condizioni locali, tra cui la diffusione del virus (in particolare qualsiasi variante che desta preoccupazione), la disponibilità di vaccini e le capacità dei sistemi sanitari nazionali. L'EMA continuerà a collaborare strettamente con le autorità nazionali e con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) per valutare i dati disponibili e formulare raccomandazioni intese a proteggere i cittadini durante la pandemia in corso.

Tuttavia la terza dose potrebbe non essere necessaria: la seconda dose di vaccino anti-Covid produce non solo la risposta anticorpale ma crea anche la memoria immunologica capace di proteggere a lungo termine la persona. Lo dimostra uno studio indipendente del Laboratorio di Neuroimmunologia dell'ospedale Santa Lucia IRCCS di Roma, che conferma la presenza di linfociti T della memoria per almeno 6 mesi dalla prima dose del vaccino, confermando lo sviluppo di una risposta cellulare che si mantiene nel tempo. Per i soggetti sani, dunque, rilevano i ricercatori, "la terza dose di vaccino potrebbe non essere necessaria".

mercoledì 6 ottobre 2021

CARENZA VITAMINA D E COVID : un legame

 


Oggi ci sono chiare evidenze che la carenza di vitamina D nel sangue è tra i fattori coinvolti nell'incidenza e soprattutto nella severità del Covid-19, tanto che sono in corso un numero consistente di studi internazionali di approfondimento. Lo afferma Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia all'Università del San Raffaele e direttore della U.O. di Endocrinologia del San Raffaele e coordinatore scientifico della Consensus sulla Vitamina D a cui è dedicata la V International Conference on Controversies in Vitamin D che si tiene a Stresa.
L'associazione tra bassi livelli di vitamina D e Covid-19 era stata ipotizzata molto precocemente rispetto all'esplosione in Italia della pandemia, con una lettera pubblicata a marzo 2020 sul British Medical Journal. Giustina spiega che «all'epoca la lettera era il frutto di una riflessione personale, legata alla fascia di popolazione colpita, quella più anziana, e al fatto che nel nostro Paese, particolarmente nelle regioni settentrionali, dove il Covid-19 ha colpito più duramente e precocemente, la carenza di vitamina D è estremamente diffusa». «La riflessione - commenta l'esperto in una nota - si è poi rivelata corretta e oggi abbiamo chiare evidenze che la carenza di vitamina D nel sangue è tra i fattori coinvolti nell'incidenza e soprattutto nella severità del Covid-19, tanto che sono in corso un numero consistente di studi internazionali di approfondimento». Il punto di partenza degli esperti è la visione del Covid-19 come malattia multi-sistemica per arrivare a chiarire sia i meccanismi endocrinologici sia l'esistenza di un vero e proprio fenotipo osteo-metabolico del Covid-19: «Questo fenotipo, di cui abbiamo evidenza - chiarisce Giustina - ha tre componenti riconoscibili: l'ipocalcemia, le fratture vertebrali e l'ipovitaminosi D»