La via dell’abbraccio: i nostri bambini nei
primi anni di vita.
Eccoci,
cari lettori, al punto di partenza del nostro viaggio. E da dove partire se non
dalla nascita? Capita spesso di pensare alla nascita come ad un evento talmente
naturale e quasi ovvio -in fondo, è ad sempre che si nasce così- che ci si
dimentica della sua caratteristica più importante. È forse l’evento più
sconvolgente della nostra vita. Immaginate di essere all’improvviso, proprio
mentre state leggendo queste righe, catapultati fuori dalla vostra stanza e di
trovarvi non nel corridoio di casa vostra ma su Marte: niente ossigeno, una
gravità che vi fa sembrare di pesare meno della metà (un sogno per tanti di
noi!), una temperatura mai sentita prima. È perfino difficile da immaginare!
Eppure ogni bambino vive questa esperienza all’inizio della sua vita. È un
passaggio “dall’acqua all’aria”, nel vero senso della parola. Il bambino abituato
a nuotare dentro la sua mamma, al sicuro, al caldo, con confini precisi e con quel
ritmo di sottofondo tanto confortante, si trova in poco tempo in un posto che
non è il suo. Prima la sensazione dell’aria sulla pelle, poi i suoni, le voci,
la luce e i colori tutti nuovi e, infine, la cosa più sconvolgente: si trova
senza il cordone ombelicale che gli ha fornito sangue, alimento e ossigeno
tenendolo in vita fino a quel momento. Possiamo immaginare quale senso di
smarrimento deve attraversare il suo piccolo corpicino, dalla tesa ai piedi,
ammesso che si renda bene conto dove inizi la sua testa e dove finiscano i suoi
piedi!
Ed ecco che il nostro piccolo comincia la frenetica ricerca -tanto
gratificante per mamma e papà- di una luce, una voce, un odore o un altro
“oggetto” sensibile che si può toccare, che si può sentire vivo, che può tenerlo
insieme evitandogli di andare in pezzi. E allora via alla ricerca del
capezzolo, del calore di un abbraccio, della voce familiare sentita per nove
mesi, dell’odore che tanto ricorda il vecchio mondo, di qualcuno che lo tenga,
lo sostenga e lo contenga.
Ed
ecco che da questo momento la mamma e il papà diventano davvero mamma e papà. Tra
le tante cose che accadono nei primi mesi, credo che quella più difficile da
raggiungere -ma più decisiva- sia la ricerca di un ritmo condiviso.
Sintonizzarsi sui ritmi del sonno e della veglia, il ritmo del latte che sgorga
dal seno e quello del succhiare del bambino, il guardarsi e il lasciare che il
bambino guardi da un’altra parte, il tenere fra le braccia e il lasciare che il
bambino si allontani un po’. Sono questi scambi a dare senso al mondo del
bambino, a permettergli di sentirsi vivo e integro e non spezzettato. Mamma e
bambino sono due partecipanti attivi del dialogo e del processo. E il successo
di questo adattamento reciproco passerà anche attraverso molti fallimenti e
mancanza di sintonizzazione. Ma non c’è da preoccuparsi: vostro figlio non vi
chiede di essere tecnicamente perfetti, di conoscere tutte le tecniche di
allattamento del mondo, di sapere scientificamente ogni strategia di
accudimento, di conoscere tutte le malattie che possono venirgli, di essere
sempre ossessivamente pronti a tutto. No, vi chiede una cosa più difficile: vi
chiede di esserci. Di tenerlo e di contenerlo, di fargli sentire il vostro
affetto, di fargli sperimentare che agli errori si può rimediare. Dall’inizio
della vita i genitori aiutano il bambino a capire che ogni cosa ha un inizio,
una transizione e una fine. Che non sempre si può essere sintonizzati ma che si
può riparare l’errore. La nostra presenza continua e il nostro tentativo di
sostituirci a nostro figlio per evitargli dolori e frustrazioni non gli renderà
la vita più facile. Anzi. Così facendo gli impediamo di sviluppare le sue
risorse (di autoregolazione) e lo illudiamo di avere il controllo e il dominio
assoluto sull’altro. Ma neanche lasciarlo completamente da solo o cercare di
farlo diventare indipendente da subito lo aiuta: ha bisogno della nostra
presenza che gli fa percepire di avere una sicurezza, una base prima esterna e
poi interna che gli dia fiducia. Nostro figlio nei primi anni di vita ha
bisogno del nostro contenimento fisico, dei nostri abbracci che lo fanno
sentire vivo e intero. Ha bisogno della nostra presenza e della nostra assenza
(fisica ma non mentale), ha bisogno dei momenti di perfetta sintonia in cui ci
sembra di capirlo e di capirci perfettamente e dei momenti di mancata sintonia
in cui sperimentare di potercela fare da solo perché tanto poi la mamma e il
papà ritornano sempre. Ha bisogno di noi come coppia e di noi come singoli. Ha
bisogno di noi come persone umane e affettuose e non tecniche e professionali.
E poi state tranquilli: di egregi tecnici e professionisti che possano aiutarvi
nei momenti di crisi ne è pieno il mondo. Di genitori affettuosi -capaci di
abbracci che contengono, di parole che danno senso al pianto e che ti fanno
sentire la vicinanza, di giochi fatti non per sviluppare l’intelligenza ma
godere nello stare insieme-, ecco, di genitori affettuosi, invece, vostro
figlio ne ha solo due. Voi.
La
via dell’abbraccio: i nostri bambini in età scolare.
La
via dell’abbraccio: i bambini verso l’adolescenza.
La
via dell’abbraccio: i nostri figli adolescenti.
Dott.
Marco Bernardi, Psicologo
Nessun commento:
Posta un commento