“Ecco, prendi te per esempio. Tu sei unico” spiegò la mamma
“e anche io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono
più sola.”
“Allora abbracciami” disse Ben stringendosi a lei.
La mamma lo tenne stretto a sé. Sentiva il cuore di Ben che
batteva. Anche Ben sentiva il cuore della mamma e l’abbracciò forte.
“Adesso non sono solo” pensò mentre l’abbracciava, “adesso
non sono solo. Adesso non sono solo.”
“Vedi” gli sussurrò la mamma, “proprio per questo hanno
inventato l’abbraccio.”
(da
L’abbraccio, di David Grossman,
Mondadori)
Chi di noi non ha mai
sperimentato la potenza di un abbraccio? Chi non si è mai abbandonato tra le
braccia di qualcuno –mamma, papà, amico o partner che sia? Chi non ha mai
sperato che l’altro prima o poi si accorgesse del nostro bisogno di essere
tenuti tra le braccia?
Vorrei, dalle pagine di questo
blog, farvi percorrere una strada che mi piace chiamare “la via
dell’abbraccio”: sarà un modo sia per ricordare quanto ci hanno fatto bene gli
abbracci nella nostra vita, sia per pensare a quanto bene possano fare i nostri
abbracci alle persone a noi care, in modo particolare ai nostri figli. In
questa “via” ci fermeremo a guadare come, nei vari momenti della crescita dei
nostri figli, il contatto fisico -pur nella necessaria varietà di stile- aiuti
noi e loro a stare bene, a sentirci ben voluti. Volutamente non saranno, le
mie, parole tecniche o indicazioni rigide di comportamenti giusti o sbagliati
da tenere: quando ci si muove nel campo degli affetti, dello stare insieme
all’altro, quello che dobbiamo ricercare è la naturalezza, la reciprocità e non
la “cosa giusta da fare” che qualche tecnico del mestiere ci suggerisce. Certo,
non tutto va bene, soprattutto quando abbiamo a che fare con i bambini, ma mi
piacerebbe aprire un dialogo con voi lettori, più che darvi indicazioni
asettiche e fuori dalla vostra vita reale. Mi limiterò, ma già è molto, a
proporvi spunti di riflessione e di azione che vi permetteranno di stare
insieme ai vostri figli in modo soddisfacente, per entrambi.
Ho parlato di abbraccio per
intendere una cosa precisa: quello che gli psicologi chiamano “contenimento” e
“sostegno” o, per dirla con Winnicott, holding.
Quando un bambino viene al mondo è già geneticamente equipaggiato per entrare
in relazione con la sua mamma, il suo papà e le persone del suo ambiente, ma
ancora non è capace di dare senso a quello che succede dentro e fuori da lui,
non sa ancora distinguere bene dove finisce lui e dove inizia l’altro e,
perciò, il suo mondo deve, in un primo momento, adattarsi totalmente a lui per
permettergli di non perdersi. E questo è quello che viene naturale ad ogni
mamma e ogni papà: sveglie ad orari improponibili, nuovi ritmi di vita, pappe e
poppate, telefonate alla pediatra, occhiaie e sbadigli: tutto ruota attorno a
lui (o lei). E questo aiuta il piccolo a crescere, a sentirsi vivo. Ma questo
sarà argomento della prossima tappa del viaggio, quella appunto in cui
guarderemo al piccolo appena nato, nei suoi primi anni di vita. Per ora ci
basta riflettere sul fatto che, però, questo bisogno di essere contenuti, di
essere capiti, di sentirsi vivi è qualcosa che non si esaurisce con l’infanzia
ma riguarda tutta la vita. Questo bisogno attraversa tutta la crescita dei
nostri figli, dall’infanzia all’adolescenza e alla giovinezza e il contenimento
assume, e direi deve assumere, nuove forme: un conto è “abbracciare” un
cucciolo tenero e pacioccoso, un altro è farlo con un sedicenne al profumo di
ormoni; un conto è “abbracciare” la tua principessina dal sorriso ammaliante,
un altro è farlo con una diciasettenne che ci mette due ore a prepararsi e di
certo non lo fa per i suoi genitori.
Ma in questo viaggio scopriremo
che a tutte le età i nostri figli hanno bisogno del nostro “abbraccio”, del
nostro sostegno e del nostro contenimento. Starà a noi capire tempi e modi per
farlo. E lo capiremo, a partire dalla prossima puntata. Quella in cui ci
concentreremo sui nostri bambini nei primi anni di vita.
Dott. Marco
Bernardi, Psicologo
1 commento:
Mi sento molto in sintonia con l'affermazione: "questo bisogno di essere contenuti, di essere capiti, di sentirsi vivi è qualcosa che non si esaurisce con l’infanzia ma riguarda tutta la vita".
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