Cari lettori, ben ritrovati. Siamo all’inizio di un nuovo
anno scolastico e anche questo inizio porta con se nuovi dibattiti educativi,
uno degli ultimi: smartphone a scuola, sì o no? Ritorno oggi su un tema a me molto
caro, sul quale lavoro e studio fin dall’inizio della mia attività clinica:
relazioni online e offline, educazione digitale, ambiente virtuale. Il
dibattito avviato dal nostro ministro dell’istruzione rischia, come al solito,
di diventare una lotta di classe, tra la fazione del “sì” e quella del “no”. Ma
un argomento così articolato e complesso non può essere ridotto ad un sì o un
no, non facciamoci ingannare. Mi piacerebbe, quindi, provare ad andare alla
base di quella che si chiama “educazione digitale”. E mi chiedo con voi che senso abbiano queste
parole. Potremmo parlare di educazione “al” digitale, nel caso intendessimo
insegnare ai nostri ragazzi e a noi stessi come utilizzare gli strumenti che la
ricerca tecnologica ci mette a disposizione. Ma ci rendiamo conto che questo
sarebbe troppo riduttivo: i ragazzi forse conoscono già le funzionalità dei
vari modelli di smartphone e comunque imparerebbero ad utilizzarli con
semplicità, ma per cosa li utilizzano, a quale scopo, questo è quello che
interessa a chi vuole educare. Senza la preposizione, educazione rimane
educazione.
Allora possiamo chiederci, come adulti e genitori, se non abbiamo
proprio smesso di educare o se, forse, lo facciamo con modalità troppo lontane
dal linguaggio dei nostri ragazzi. Il dibattito sugli smartphone a scuola può
diventare occasione per tutti per essere più attenti all’educazione. Partiamo
dalle basi, partiamo dal rispetto. Impegniamoci ad educare i ragazzi al
rispetto di sé e dell’altro, ricordiamo loro che l’altro non è un nemico o un
ostacolo sulla nostra strada, ma è l’indispensabile risorsa che ci permette di
crescere, di svilupparci, di esserci nel mondo e di stare bene, anche con noi
stessi. La psicologia, e la psicoanalisi in particolare, lo sostengono da
sempre: l’altro è fondamentale, la relazione con l’altro è fondativa della mia
identità e del mio benessere. Solo se vengo riconosciuto dall’altro allora
esisto, solo se il bambino è in relazione affettiva con l’altro (genitori)
allora può svilupparsi e crescere sano, solo se cerco una relazione con l’altro
riesco ad uscire da quei momenti difficili e di sofferenza della mia vita.
L’altro merita tutto il mio rispetto e merita di essere riconosciuto da me
-esattamente come io da lui- per quello che è e non rinchiuso in categorie. E
l’altro esiste sempre, anche nell’ambiente digitale. I nostri ragazzi -ma anche
noi!- spesso interagiamo sui social come se l’altro non ci fosse: non è così.
Ricordiamo ai nostri ragazzi che dietro ad uno schermo c’è sempre una persona
in carne ed ossa che pensa, ama, soffre, gioisce, lavora, studia esattamente
come noi. È rispettandola che rispettiamo noi stessi: se interagiamo tra
persone reali, presenti e vive -anche quando lo facciamo nell’ambiente
digitale- l’interazione ha senso e porta con se benessere e sviluppo. Non
dimentichiamoci, cari lettori, che solo la comunità degli adulti che lavora
insieme può sperare di educare ed educarsi efficacemente. Non basta che ognuno
faccia bene il suo pezzetto, rimarrebbero tante tessere tutte perfette ma
inutili. Il puzzle bisogna comporlo, ma nessuna manona gigante (neanche lo
Stato) lo farà al posto nostro. Dobbiamo farlo noi. Insieme.
di Marco Bernardi
Psicologo e Psicoterapeuta
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