La luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta, o radiazione UV-C,
quella tipicamente prodotta da lampade a basso costo al Mercurio (usate ad
esempio negli acquari per mantenere l’acqua igienizzata) ha un’ottima
efficacia nel neutralizzare il coronavirus SARS-COV-2. Lo conferma uno
studio sperimentale multidisciplinare effettuato da un gruppo di
ricercatori, con diverse competenze, dell’Istituto Nazionale di
Astrofisica (INAF), dell’Università Statale di Milano, dell’Istituto Nazionale
dei Tumori di Milano (INT) e dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi. È ben noto il potere germicida della luce UV-C (che ha
tipicamente una lunghezza d’onda di 254 nanometri, ovvero 254 miliardesimi di
metro) su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere
i legami molecolari di DNA e RNA che costituiscono questi microorganismi.
Diversi sistemi basati su luce UV-C sono già utilizzati per la
disinfezione di ambienti e superfici in ospedali e luoghi pubblici.
Tuttavia, per quanto spesso questa tecnologia venga richiamata pubblicamente a
livello internazionale anche per la lotta alla diffusione della pandemia
COVID19, una misura diretta della dose di raggi UV necessaria per rendere
innocuo il virus non era stata ancora effettuata e finora erano state considerate
dosi con valori tra loro molto contraddittori, derivati da altri lavori
scientifici riguardanti precedenti esperimenti su altri virus. “Abbiamo illuminato con luce UV soluzioni a diverse
concentrazioni di virus, dopo una calibrazione molto attenta effettuata con i
colleghi di INAF e INT” dice Mara Biasin, Docente di Biologia
Applicata dell’Università Statale di Milano “e abbiamo trovato
che è sufficiente una dose molto piccola – 3.7 mJ/cm2 , cioè equivalente a
quella erogata per qualche secondo da una lampada UV-C posta a qualche
centimetro dal bersaglio– per inattivare e inibire la riproduzione del virus di
un fattore 1000, indipendentemente dalla sua concentrazione”.
Andrea Bianco, Tecnologo INAF aggiunge: “Con dosi così piccole è
possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus.
Questo dato sarà utile a imprenditori e operatori pubblici per sviluppare
sistemi e attuare protocolli ad hoc utili a contrastare lo sviluppo della
pandemia”. Il risultato
ottenuto è stato molto importante anche al fine di validare uno studio
parallelo, coordinato da INAF e Università degli Studi di Milano, per
comprendere come gli ultravioletti prodotti dal nostro Sole, al variare
delle stagioni possano incidere sulla pandemia, inattivando in ambienti aperti
il virus presente in aerosol, contenuto ad esempio nelle piccolissime
bollicine prodotte dalle persone quando si parla o, peggio, con tosse e
starnuti. In questo caso ad agire non sono i raggi ultravioletti corti UV-C
(anch’essi prodotti dal Sole, ma assorbiti dallo strato di ozono della nostra
atmosfera) bensì i raggi UV-B e UV-A, con lunghezza d’onda tra circa 290 e 400
nanometri, quindi maggiore degli UV-C. In estate, in particolare nelle
ore intorno a mezzogiorno, bastano pochi minuti perché la luce ultravioletta
del Sole riesca a rendere inefficace il virus, come dimostrato da una
recente misura in luce UV-A e UV-B dal Laboratorio di Biodifesa del
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Tali risultati sono in buon accordo anche con quelli del primo articolo
poc’anzi descritto, se opportunamente rapportati alle lunghezze d’onda più
lunghe degli UV-B e UV-A. Fabrizio Nicastro, Ricercatore INAF
commenta: “Il nostro studio sembra spiegare molto bene come la
pandemia COVID19 si sia sviluppata con più potenza nell’emisfero nord
della Terra durante i primi mesi dell’anno e ora stia spostando il proprio
picco nei Paesi dell’emisfero sud, dove sta già iniziando
l’inverno, attenuandosi invece nell’emisfero nord”. Sebbene
altri fattori possano avere influenzato l’attenuazione del contagio che si
registra nel nostro Paese da alcune settimane (distanziamento sociale,
mutazione del virus, etc...), potrebbe essere istruttivo verificare nei
mesi autunnali se una eventuale seconda ondata di contagi possa essere
collegata alla minore efficacia del Sole nel neutralizzare il virus e
quindi capire se il ruolo della radiazione emessa dal Sole sia stato
determinante per l’attenuazione dei contagi, o abbia avuto solo un ruolo
coadiuvante, e in che misura.
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