Non è mio intento esporre opinioni personali circa i terribili
avvenimenti che hanno scosso il mondo, gli attentati che quasi quotidianamente
avvengono vicino e lontano da noi, quelli di cui la stampa parla e quelli che
nessuno conosce. Vorrei, invece, riflettere con voi sul rischio che la
diffusione della paura porta con sé, un rischio che tocca tutti in prima
persona: il dramma della solitudine. Tutti ci rendiamo conto di quanto sia
difficile nella nostra società creare e mantenere relazioni: tempi limitati,
usi e costumi consumistici e individualistici, i mezzi di comunicazione che
sempre più ci “avvicinano” ai lontani e ci allontanano dai vicini.
All’indomani dei vergognosi attentati di Parigi tutti siamo
rimasti scossi. Ognuno di noi avrà pensato di non essere al sicuro, di essere
nel mirino di qualcuno o di qualcosa di troppo grande. Ma questa naturale paura
rischia di farci cadere in due trappole altrettanto subdole e pericolose: la
paranoia e l’indifferenza.
C’è chi reagisce diventando paranoico e chi facendo
finta che non sia successo niente. C’è chi si chiuderebbe in casa o va in giro sempre
sul “chi va là” e chi fa finta di nulla continuando la sua vita imperterrito
come se niente fosse. Sappiamo che entrambe sono modalità difensive per
allontanare da noi la paura, perché la paura -così come tutte le emozioni e
sensazioni “negative”- va assolutamente annullata, annientata, ridotta al
silenzio. Non possiamo aver paura, essere spaventati, tristi, delusi,
annoiati…dobbiamo sempre essere positivi, forti e gioiosi (e il bel film
“Inside out” ci fa riflettere su questo). Purtroppo paranoia e indifferenza di
autoalimentano: se coltiviamo solo paranoia e indifferenza, diventeremo
paranoici e indifferenti pian piano per tutto, anche nelle nostre relazioni. E
qui sta la questione centrale: queste cose ci allontanano gli uni dagli altri,
ci trascinano in un vortice di solitudine, ci fanno concentrare solo su noi
stessi e non sulle nostre relazioni. Ed è proprio quando le nostre relazioni
-per svariati motivi- diventano prigioni (ad esempio di paranoia, indifferenza,
solitudine, violenza) che smettiamo di stare bene. La solitudine ci toglie
vita, ci toglie vitalità. Ovviamente io non so come si combatta il terrorismo,
ma -forse- inizio a capire come si può combattere il terrore: combattendo la
solitudine, l’indifferenza, spendendo tempo ed energie nella costruzione di
relazioni vere, intime e profonde e non solo superficiali e pubbliche. Forse
possiamo insegnare ai nostri figli a dare più importanza allo stare insieme,
possiamo smettere di avere nella testa solo la scuola e aiutare i nostri
bambini e ragazzi a crescere nella loro interezza, nella loro umanità. Sarebbe
bello vedere bambini magari meno bravi a scuola ma più capaci di creare
relazioni reciproche e affettuose e, quindi, più capaci di stare bene. Non
riusciremo, così, a proteggere i nostri figli dal terrorismo (e chi potrebbe?),
ma sicuramente li renderemo persone capaci di affrontare la paura senza che
diventi sempre ed inevitabilmente terrore. Il terrore ci pietrifica, la paura
ci fa rendere conto che siamo ancora vivi e ci spinge a muoverci. La solitudine
ci ingabbia, la compagnia ci libera e ci fa sentire vivi. Nell’augurarvi un
sereno Natale, auguro a voi e a me stesso di cogliere questi giorni di festa
come occasione per dare nuova linfa -e tempo- alle relazioni con le persone
importanti della nostra vita.
Dr. Marco Bernardi
Psicologo
Milano
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