Cari lettori, nell’articolo di oggi vorrei parlarvi delle
nostre parole. Ogni giorno migliaia di parole escono dalle nostre bocche ma,
forse, non abbiamo mai pensato alla portata di questa così naturale azione che
è il parlare. Un interessante articolo apparso su Nature nel numero di novembre
2017 (qui potete trovarne una traduzione in italiano http://www.lescienze.it/news/2017/11/08/news/stato_stress_cambia_linguaggio_usato-3745298/)
ci mostra come il nostro linguaggio cambi involontariamente in base alla quantità
di stress che viviamo in un determinato momento della nostra vita. Sono
soprattutto le parole “funzionali” a modificarsi, cioè i pronomi, gli
aggettivi, gli avverbi: le parole “significanti” (nomi e verbi) sono scelte
quasi sempre consapevolmente da chi parla, mentre le parole funzionali
risultano meno controllabili e quindi dipendono maggiormente dal momento
emotivo che stiamo vivendo e rivelano qualcosa di come noi percepiamo le nostre
relazioni.
«Dottore sono preoccupato, sono giorni che mia figlia che
non mi mangia più» «Luca quanti
compiti abbiamo da fare oggi? Dobbiamo preparaci bene per la verifica
di domani, vieni che ti aiuta papà»
Una signora mangiata da una ragazzina
cannibale e un uomo seduto con le ginocchia in gola in un banchetto di scuola
insieme ai suoi compagnucci di 7 anni… Le parole veicolano messaggi, ma
soprattutto contribuiscono a creare nella nostra mente, nella mente di chi
parla, un certo tipo di scenario che, costruendosi pian piano, diventa il
nostro modo di intendere la realtà e di relazionarci con gli altri. Allora
facilmente la signora in questione sentirà di dover fare tutto, di avere una
forte responsabilità nei confronti di tutti e il signore sentirà una
preoccupazione forte come se fosse esattamente la sua e non quella di un
bambino alle prese con le schede del sussidiario. Esattamente come le nostre
parole ci rivelano qualcosa del nostro mondo interno, così modificare il nostro
linguaggio potrebbe aiutarci a cambiare qualcosa del nostro mondo interno. Se
sento su di me il peso di troppa responsabilità, se mi sento in ansia per la verifica
di mio figlio, se mi sento a disagio perché penso che tutti mi giudichino,
potrei provare a togliere gli aggettivi o i pronomi possessivi, potrei usare la
seconda persona singolare, potrei smettere di parlare male degli altri. Con un
po’ di allenamento mi accorgerò che mia figlia non avrà più bisogno di
digiunare per tenere lontana una mamma troppo invadente o, al contrario,
avvicinare una mamma troppo concentrata su di se (“mi” può indicare un coinvolgimento
simbiotico o una incapacità di vedere l’altro). Mi proteggerò dall’ansia
e lascerò spazio a mio figlio per potersi impossessare della sua scuola e del suo studio e viverlo da protagonista. Potrò guardare gli altri non
come sparlatori seriali, ma come persone amichevoli esattamente come sono io
quando parlo di loro. Certo, non voglio dire che questo risolverà tutti i
nostri problemi, ma sicuramente ci aiuterà a cambiare qualche modello
relazionale che, forse, ci va un po’ stretto e permetterci di relazionarci e
vivere con più consapevolezza e semplicità.
Dr Marco Bernardi
Psicologo Psicoterapeuta
Milano
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