La sperimentazione è iniziata da poche
settimane e sta dando risultati ritenuti "estremamente incoraggianti"
Estrarre anticorpi da pazienti guariti da Covid-19 per infonderli in
malati gravi che sono ancora intubati e hanno il 40% di possibilità di
morire. E' la nuova, forse rivoluzionaria, tecnica messa a punto dai medici
dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la struttura che è stata al
centro dell'epidemia di coronavirus. La sperimentazione è iniziata da
poche settimane e sta dando risultati ritenuti "estremamente
incoraggianti". "Finora nessuno dei pazienti sottoposti al
trattamento con questa procedura è morto o ha avuto effetti collaterali -
spiega Piero Luigi Ruggenenti, direttore dell'unità di Nefrologia e
Dialisi dell'ospedale bergamasco, che coordina le infusioni effettuate dai
medici Stefano Rota e Diego Curtò - Anche per il donatore non c'è alcun
rischio.
A differenza
di una normale donazione di sangue, in questo caso gli portiamo via solo
gli anticorpi, quindi non ha bisogno di una integrazione di altro liquido. E' uno
dei vantaggi, oltre a costare circa la metà di una sostituzione di
plasma". La scoperta è merito di un'intuizione dei medici della
Nefrologia, che hanno riconvertito un macchinario finora servito per
curare un'altra patologia. "Usavamo la tecnica per la nefropatia
membranosa, una malattia dei reni dovuta ad anticorpi che impazziscono e
aggrediscono l'organo distruggendolo - continua Ruggenenti - Per la malattia
dei reni il macchinario estrae quasi tutti gli anticorpi nocivi
che finiscono in una sacca che poi buttiamo. Allora ci siamo resi conto
che avremmo potuto applicare la procedura sottoponendo pazienti guariti dal
Covid-19, in modo da prendere i loro utilissimi anticorpi". L'estrazione dura circa due ore ed è
praticamente indolore per il donatore. Una cannula prende il sangue, lo
passa attraverso lo strumento che glielo restituisce privato degli anticorpi,
bloccati da uno speciale filtro. "Il macchinario ci è stato fornito
gratuitamente da Aferetica, un'azienda che si trova nel polo industriale
di Mirandola (Bologna), un centro con grandi menti italiane". "Non è
rischioso portare via gli anticorpi al donatore perché il corpo, una volta
sconfitta la malattia, riconosce il virus e quindi - continua Ruggenenti - se
malauguratamente dovesse essere attaccato di nuovo, riuscirà a produrli senza
problemi". La sperimentazione procede con la raccolta dati, c'è cautela ma
molto ottimismo. "Forse in questo momento l'infusione di anticorpi,
che è una tecnica nuova, è la cosa più sicura che abbiamo per i malati
gravi", dichiara Giuseppe Remuzzi, il direttore dell'Istituto "Mario
Negri" di Bergamo, il polo di ricerca che da decenni collabora con
l'ospedale in un dialogo costante tra corsia e laboratorio. Fino a quando non ci sarà un vaccino,
questa terapia è da tenere in seria considerazione perché i risultati finora
sono davvero promettenti"
Tratto da DOTTNET 3/05/2020
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