lunedì 9 ottobre 2017

Bambini e allergie alimentari


"L'ambito delle allergie alimentari rappresenta una parte molto importante degli interessi scientifici della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (Siaip). Fondata nel 1997 si è occupa di problemi immunologici dell'età pediatrica e di tutte le disfunzioni del sistema immunitario che fanno capo al grande capitolo delle allergie.  È affiliata alla Sip (Società italiana di Pediatria) e alla EAACI (European Academy of Allergy and Clinical Immunology) e partecipa alle loro iniziative, compresa quella che quest'anno a livello di Parlamento Europeo chiede per le malattie allergiche un riconoscimento come malattie sociali che, al pari di altre, hanno ricadute pesanti sulla qualità della vita dei malati e il rendimento lavorativo". A raccontarlo è Marzia Duse, Presidente SIAIP, con la quale abbiamo fatto il punto sulle allergie pediatriche in termini di prevalenza e approccio terapeutico.  

"La frequenza delle allergie alimentari è estremamente variabile in Europa, ma anche in Italia a livello regionale. I questionari autosomministrati restituiscono numeri elevatissimi di prevalenza, perché la percezione di avere un'allergia è molto alta nella popolazione generale, per l'estrema attenzione che si ha oggi verso il cibo. Il dato poi si ridimensiona quando vengono eseguiti i challenge test, dai quali si vede che i soggetti che possono definirsi allergici sono l'1-2%, che è di fatto la frequenza nella popolazione generale"
C'è comunque un incremento di tutte le allergie, dunque anche di quelle alimentari. 
"Nell'infanzia l'allergia alimentare è particolarmente frequente, ma tende in genere a risolversi da sola - spiega l'esperta. La possibilità che si producano IgE contro gli alimenti è elevata, ma può essere asintomatica. Qui emerge un primo punto fondamentale: avere l'allergia significa avere anche dei sintomi, non solo le IgE elevate associate a un dato alimento.
Poi ci sono i problemi collegati con il rischio di reazioni, lievi o gravi, che possono insorgere nei soggetti diagnosticati allergici. Non c'è modo, ad oggi, di stabilire se e quando l'allergia darà prima o poi una reazione grave.  In genere per sintomi cutanei è meno probabile che si scatenino reazioni serie, ma quando ci sono problemi intestinali, una sintomatologia severa - come l'asma - o titoli di IgE molto alti, aumentano le probabilità di reazione (sebbene anafilassi gravi siano tanto più rare quanto più è piccolo il bambino, aumentando invece di intensità e pericolosità con l'età).
In merito alla prevenzione e alla terapia, però, bisogna fare dei distinguo. I tentativi di dieta preventiva nei bambini con una certa familiarità a fenomeni allergici, sono stati poco efficaci. Così come il divezzamento precoce. Ma è relativamente recente la scoperta di una finestra nell'età del bambino, in cui i cibi potenzialmente allergizzanti che vengono introdotti sono meglio tollerati, abbassando la frequenza delle allergie.  Questo non deve portare a eccessi arbitrari, ricorda Duse. La finestra corrisponde - di fatto - ai tempi del divezzamento, quindi verso i 5/6 mesi. In questo periodo, pur continuando l'allattamento si possono introdurre con gradualità e buon senso piccole quantità di alimenti allergizzanti, che inducono l'organismo e l'intestino a tollerare molecole potenzialmente allergizzanti. 
Per quanto riguarda la terapia invece, le opzioni sono diverse. Il challenge test, cioè l'ingestione di piccole quantità fino al livello di tolleranza è lo strumento fondamentale per la diagnosi, ma anche per stabilire il rischio nel momento in cui dovesse esserci un'assunzione accidentale dell'alimento. 
Nei bambini allergici, bisogna evitare l'alimento, soprattutto nei primi anni di vita. L'allergia si può risolvere da sola con una prognosi molto buona e l'alimento potrà essere reintrodotto se un nuovo challenge test avrà dato esito positivo. Una seconda strategia mira alla desensibilizzazione con una tecnica nata ed elaborata in Italia, che si chiama SOTI, desensibilizzazione specifica per via orale. Consiste nel somministrare dosi dell'alimento in quantità minima e crescente, cercando di abituare il corpo alla sua presenza e portando il soggetto a tollerare un'ingestione accidentale dell'alimento stesso. Implica un'assunzione giornaliera costante ed espone il bambino, ad ogni incremento di dose, a possibili reazioni. La terapia inoltre, può durare anni. Gli schemi di incremento sono diversi, ma in genere si arriva fino alla dose massima tollerata. Dopo un periodo di sospensione si rifà il challenge e se il soggetto tollera la quantità, allora l'assunzione accidentale della stessa sarà innocua. Eventuali reazioni invece, dimostrerebbero che lo stato di tolleranza è mantenuto solo dalla somministrazione quotidiana, che andrebbe quindi protratta. Ma è un campo ancora in evoluzione e sperimentale e non è entrato nella pratica quotidiana di tutti i medici, conclude Duse.
(Tratto da intervista a Marzia Duse su Nutrizione 33)
6 ottobre ’17         

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