Fin dall’inizio della pandemia i genitori e gli
operatori dei servizi per l’infanzia si sono preoccupati di quanto i bambini
sarebbero stati affetti dall’infezione da Covid-19. Su questo punto i dati sono
ormai consolidati e coerenti tra i diversi studi effettuati, in Paesi diversi e
da diversi gruppi di ricerca: i bambini si ammalano molto poco; e quando lo
fanno, le manifestazioni cliniche sono lievi. Le eccezioni sono poche, per lo
più limitate a manifestazioni infiammatorie scatenate dal virus, tra le quali
la più nota e importante è la vasculite (malattia simil- Kawasaki) non
specifica del Covid-19, ma potenzialmente scatenata dal Covid-19. Si tratta di
una malattia nota e descritta in Italia fin dai primi anni ’80 e che i pediatri
hanno imparato a riconoscere e trattare.
La seconda preoccupazione è stata quella di sapere fino a che punto i bambini potevano costituire serbatoio e fonte di contagio. Su questo punto le evidenze sono meno coerenti, ma ancora piuttosto solide: i bambini possono albergare il virus, e verosimilmente trasmetterlo, ma la possibilità di trasmissione è estremamente bassa.
La seconda preoccupazione è stata quella di sapere fino a che punto i bambini potevano costituire serbatoio e fonte di contagio. Su questo punto le evidenze sono meno coerenti, ma ancora piuttosto solide: i bambini possono albergare il virus, e verosimilmente trasmetterlo, ma la possibilità di trasmissione è estremamente bassa.
Viceversa, si stanno accumulando le evidenze sui
danni collaterali provocati in bambini dalle conseguenze del lockdown e
soprattutto della chiusura prolungata di servizi educativi e scuole. Per
tutti, tranne quei pochi che possono vantare una buona dotazione tecnologica in
casa e genitori in grado di accompagnarli nelle lezioni e nei compiti, si sta
accumulando un ritardo educativo, che per la maggioranza (secondo Save the
Children e Sant’Egidio, almeno 6 su 10) è molto rilevante, e non può essere
nascosto dietro i pur doverosi sforzi di didattica a distanza. Al danno
educativo si associano manifestazioni di disagio psicologico, aumentato rischio
di violenza subita o assistita, riduzione di qualità degli apporti
alimentari, riduzione dei supporti abilitativi e a volte strettamente medici
per bambini affetti da disabilità o patologie croniche, naturalmente in stretta
relazione con la qualità e offerta preesistente dei servizi, già carenti in
molte parti d’Italia.