È da
qualche tempo su tutti i giornali la notizia di ragazzi adolescenti alle prese
con un gioco che di divertente non ha proprio nulla: la Blue Whale. Senza
addentrarci nello specifico e senza considerare il fatto che di certo dietro a
questo fenomeno così attuale c’è qualcosa di molto più inquietante rispetto a
degli adolescenti depressi che cercano di togliersi la vita, vorrei condividere
con voi qualche pensiero. Chi ha a che fare, per motivi educativi, di cura o didattici,
con i ragazzi, si rende conto di una clamorosa contraddizione: si chiamano
nativi digitali ma non sono per niente esperti, hanno in mano strumenti
potentissimi ma non li sanno utilizzare, sono sempre connessi ma si sentono
sempre più soli. Insomma, non sono automaticamente capaci di vivere l’ambiente
digitale in modo evolutivo, in modo positivo, nello stesso modo in cui uno che
nasce in montagna non è automaticamente capace di sciare. Spesso noi adulti ci
dimentichiamo che nativi digitali ed esperti digitali sono cose diverse.
“Nativo” è chi nasce in un luogo, “esperto” è chi ci ha vissuto, lo ha
conosciuto, lo ha sperimentato, ha visto testimoni credibili indicargli la
strada, lo conosce e per questo lo rispetta, ha fatto esperienza insieme ad altri.
Mi piace sempre dire che, almeno per età, gli esperti di vita tra noi adulti e
i nostri adolescenti, siamo decisamente noi. Qualcuno potrebbe obiettare
dicendo che non conosce nessun social, che non sa usare il tablet etc etc, ma
queste sono argomentazioni per nulla valide: la vita è una sola. Le regole per vivere
bene valgono sia online che offline, le esperienze che ti fanno crescere sono
le stesse sia online che offline, i metodi educativi valgono sia online che
offline. Siamo noi adulti gli “esperti” della vita (non ha senso distinguere
vita virtuale da vita reale, dato che è una sola), siamo solo noi che possiamo
stare accanto ai nostri bambini e ragazzi per indicare loro la strada, per
insegnare loro le regole, per testimoniare con la nostra vita che è possibile
essere felici e per far sentire loro che non sono soli. Quindi, anche se non
conosciamo Instagram poco importa: conosciamo la vita e sappiamo educare,
questo basta. Se noi abdichiamo, allora ci penseranno le app o i siti web a
sostituirci e le nostre piccole balenottere cresceranno con la sensazione di
essere sole e non appena troveranno una grande balena -magari blu- che dà
l’illusione di poterli far diventare importanti, non faranno altro che
aggrapparvisi e farsi trascinare. Vogliamo che finisca così o proviamo da
subito a riprendere il nostro ruolo di esperti e a camminare accanto ai nostri
ragazzi? Vedrete, sarà più facile di quanto immaginate, sarà una grande
soddisfazione per voi e finirete per chiedervi “ma se è così bello, perché non
l’ho fatto prima?!”
Dott. Marco Bernardi
Psicologo
Psicoterapeuta
Milano
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