mercoledì 15 ottobre 2008

Metanalisi e Omeopatia

Ricorderete che nel mese di dicembre 2006 la prestigiosa rivista The Lancet pubblicò, con grande risonanza anche su qualche quotidiano italiano e con l’intervento di rappresentanti del mondo accademico detrattori dell’omeopatia, un articolo di A. Shang & al. dal titolo “Gli effetti clinici dell'omeopatia sono effetti placebo? Analisi comparativa degli studi controllati con placebo condotti in omeopatia e allopatia”. In quello studio, gli autori, basandosi su una metanalisi condotta su 21 lavori realizzati in ambito omeopatico e 9 lavori in medicina convenzionale, concludevano evidenziando bias in tutti gli studi considerati che, adeguatamente filtrati, portavano ad una debole evidenza di effetti specifici dei rimedi omeopatici contrapposta ad una forte evidenza di efficacia degli interventi convenzionali. Shang concludeva che “Questa osservazione è compatibile con l'opinione che gli effetti clinici dell'omeopatia siano effetti placebo”.

Nel mese di settembre di questo anno è stato pubblicato sul Journal of clinical epidemiology un lavoro di Lüdtke R. & al. dal titolo “The conclusions on the effectiveness of homeopathy highly depend on the set of analyzed trials.

Gli autori segnalano come i risultati di una metanalisi cambino in maniera significativa in funzione del numero e delle caratteristiche dei lavori analizzati, tanto più in una materia come l’omeopatia caratterizzata ancora da un’ampia eterogeneità tra i trials. Ne consegue che secondo Lüdtke le conclusioni a cui è giunto Shang sembrano essere meno definite di quanto siano state rappresentate.

Lasciando agli epidemiologi la fine analisi dell’impostazione metodologica dei due lavori, e nella consapevolezza della già più volte richiamata difficoltà di impostare ricerche in omeopatia perfettamente aderenti ai condivisi criteri di scientificità (randomizzazione del campione, doppio cieco, ripetitività dei risultati), ritengo condivisibili le conclusioni a cui sono giunti Lüdtke R. & al. Quanto meno sembrerebbe poco giustificabile giungere a deduzioni così categoriche partendo dall’analisi di un numero così limitato di studi scientifici.

È peraltro pur vero che il mondo omeopatico dovrebbe attivarsi maggiormente per sottoporre alla comunità scientifica un numero sempre maggiore di studi tesi a dimostrare l’efficacia di questa metodica, nel rispetto (quanto più aderente possibile) dei criteri di scientificità sopra richiamati. In aggiunta sarebbe sicuramente opportuno avviare un sereno confronto all’interno della comunità scientifica per definire standard maggiormente affini alla metodica omeopatica, superando (come già avvenuto in altre settori della ricerca scientifica) i vincoli metodologici. Tutto ciò con l’obiettivo di chiarire, una volta per tutte e al di fuori di sterili polemiche, l’efficacia (o meno) dell’approccio omeopatico. Sarà mai la comunità scientifica disposta a questo confronto? E sarà mai possibile reperire i fondi per questo tipo di ricerca? E vi è il reale interesse da parte della comunità scientifica, ma anche dello stesso mondo omeopatico, ad avviare questo percorso? Lascio a voi le risposte.

G. Di Leone – Medico - Bari

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