LA REDAZIONE AUGURA AI SUOI LETTORI
BUONE FESTE
A livello scientifico è ormai noto che non esiste alcuna evidenza che il consumo di latte e latticini sia benefico per le ossa e prevenga (o curi) l'osteoporosi, mentre è stato dimostrato che una dieta ricca di vegetali è associata a una maggiore densità ossea . Tuttavia, popolare è ancora ampiamente diffusa la cultura che latte, formaggini siano alimenti che "rendono le ossa forti" e siano l'unica buona fonte di calcio. Una "cultura" che si è formata soprattutto a causa del grande impegno dell'industria lattiero-casearia nella diffusione di queste informazioni nel corso dei decenni.il calcio in questo caso si accompagna a sostanze benefiche (vitamine, altri minerali e fitocomposti), mentre in tutti i latticini si accompagna a sostanze dannose (colesterolo, grassi saturi, proteine che innescano allergie, lattosio e contaminanti).
Via libera dall'Ema alla
terza dose dei vaccini Covid: può essere somministrata agli immunodepressi
almeno 28 giorni dopo la seconda dose. La raccomandazione
dell'Agenzia Ue basata ad Amsterdam, si legge in una nota, arriva dopo che gli
studi condotti hanno indicato che una extra dose di questi vaccini aumenta la
capacità di produrre anticorpi contro il virus che causa il Covid-19 in pazienti
che abbiano subito un trapianto e quindi abbiano un sistema immunitario
indebolito. Dose aggiuntiva
In particolare il Chmp ha concluso che è possibile somministrare una dose
aggiuntiva dei vaccini anti-COVID-19 Comirnaty (BioNTech/Pfizer) e Spikevax
(Moderna) a persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, almeno
28 giorni dopo la seconda dose. La raccomandazione giunge dopo che alcuni
studi hanno dimostrato che una dose aggiuntiva di questi vaccini ha aumentato
la capacità di produrre anticorpi contro il virus che provoca COVID-19 nei
pazienti che hanno subito un trapianto d’organo e che presentano un sistema
immunitario indebolito. Sebbene non vi siano evidenze dirette del fatto che
la capacità di produrre anticorpi in questi pazienti abbia protetto contro
COVID-19, si prevede che la dose aggiuntiva aumenti la protezione almeno in
alcuni pazienti. L'EMA continuerà a monitorare tutti i dati sull’efficacia che
saranno disponibili.
Dose di richiamo (booster)
È importante distinguere tra dosi aggiuntive per coloro che presentano un
sistema immunitario indebolito e dosi di richiamo per le persone con sistema
immunitario normale. In quest’ultimo caso, il CHMP ha valutato i dati
relativi a Comirnaty che mostrano un aumento dei livelli anticorpali a seguito
della somministrazione di una dose di richiamo circa 6 mesi dopo la seconda
dose, in persone di età compresa tra 18 e 55 anni.
Sulla base di tali dati, il Comitato ha concluso che si possono prendere in
considerazione dosi di richiamo almeno 6 mesi dopo la seconda dose per le
persone di età pari o superiore a 18 anni. La somministrazione della dose di
richiamo seguirà le raccomandazioni ufficiali a livello nazionale definite
dalle autorità sanitarie pubbliche, tenendo conto dei dati emergenti
sull'efficacia e delle eventuali incertezze in merito alla sicurezza. Il
rischio di condizioni infiammatorie a carico del cuore o altri effetti
indesiderati molto rari dopo un richiamo non è noto ed è oggetto di attento
monitoraggio. Come per tutti i medicinali, l'EMA continuerà a esaminare
tutti i dati sulla sicurezza e l'efficacia del vaccino. Al momento, il
CHMP sta valutando i dati a sostegno della dose di richiamo per Spikevax. L'EMA
renderà noto l’esito una volta completata la valutazione.
Campagne nazionali di immunizzazione
L’Ema ha sottolineato poi che l'attuazione delle campagne di vaccinazione
nell’Unione europea rimane prerogativa dei gruppi nazionali di consulenza
tecnica per l’immunizzazione (NITAG) che orientano le campagne vaccinali in
ciascuno Stato membro dell’UE. I NITAG sono nella posizione migliore per
tener conto delle condizioni locali, tra cui la diffusione del virus (in
particolare qualsiasi variante che desta preoccupazione), la disponibilità
di vaccini e le capacità dei sistemi sanitari nazionali. L'EMA continuerà
a collaborare strettamente con le autorità nazionali e con il Centro europeo
per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) per valutare i dati
disponibili e formulare raccomandazioni intese a proteggere i cittadini durante
la pandemia in corso.
Tuttavia la terza dose potrebbe non essere necessaria: la seconda dose di vaccino anti-Covid produce non solo la risposta anticorpale ma crea anche la memoria immunologica capace di proteggere a lungo termine la persona. Lo dimostra uno studio indipendente del Laboratorio di Neuroimmunologia dell'ospedale Santa Lucia IRCCS di Roma, che conferma la presenza di linfociti T della memoria per almeno 6 mesi dalla prima dose del vaccino, confermando lo sviluppo di una risposta cellulare che si mantiene nel tempo. Per i soggetti sani, dunque, rilevano i ricercatori, "la terza dose di vaccino potrebbe non essere necessaria".
Ma oltre a ciò va presa in considerazione anche la differenza di risposta tra i vari vaccini come Pfizer e Moderna che, tuttavia, mantengono altissima la protezione da ricovero e decesso mentre invece decresce la loro capacità di frenare il contagio.
La protezione immunitaria naturale che si sviluppa dopo un'infezione da SARS-CoV-2 offre uno scudo molto maggiore contro la variante Delta del coronavirus pandemico rispetto a due dosi del vaccino Pfizer-BioNTech, secondo un ampio studio israeliano. I dati appena rilasciati mostrano che le persone infettate da SARS-CoV-2 avevano molte meno probabilità rispetto alle persone vaccinate di contrarre Delta, sviluppare sintomi da essa o essere ricoverate in ospedale con un grave COVID-19.
Lo studio dimostra il potere
del sistema immunitario umano, ma gli esperti di malattie infettive hanno
sottolineato che questo vaccino e altri per COVID-19 rimangono comunque
altamente protettivi contro malattie gravi e morte. E avvertono che
l'infezione intenzionale tra le persone non vaccinate resta
pericolosa. "Quello che non vogliamo che la gente dica è: 'Va bene,
dovrei uscire e farmi infettare, dovrei organizzare una festa per
l'infezione'", afferma Michel Nussenzweig, un immunologo della Rockefeller
University che studia la risposta immunitaria alla SARS- CoV-2.
I ricercatori hanno anche
scoperto che le persone che avevano precedentemente la SARS-CoV-2 e poi hanno
ricevuto una dose del vaccino Pfizer-BioNTech a RNA messaggero (mRNA) erano più altamente protette
contro la reinfezione rispetto a quelle che una volta
avevano il virus e non erano ancora vaccinate.
Lo studio, condotto in uno dei paesi più vaccinati contro il COVID-19 al mondo, ha esaminato le cartelle cliniche di decine di migliaia di israeliani, registrando le loro infezioni, sintomi e ricoveri tra il 1 giugno e il 14 agosto, quando predominava la variante Delta in Israele. È il più grande studio osservazionale del mondo reale finora per confrontare l'immunità naturale e indotta dal vaccino con SARS-CoV-2, secondo i suoi leader.
Gli anticorpi neutralizzanti presenti nel sangue
possono predire il rischio di venir contagiati dal Sars-Cov-2 dopo esser
stati vaccinati e possono essere un marcatore predittivo affidabile per
valutare la necessità di una terza dose per proteggere dalle varianti emergenti.
Lo dimostra uno studio basato sui dati di quasi 11.500 operatori sanitari
in Israele, pubblicato sul New England Journal of medicine. Tra gli operatori
sanitari sono stati identificato 39 lavoratori che erano stati
infettati da SARS-CoV-2 nonostante fossero completamente vaccinati con
doppia dosa di Pfizer-BioNTech, andando incontro alla cosiddetta
"breakthrough infection".
Mentre in gran parte dei Paesi occidentali i giovani si apprestano alla vaccinazione, il siero realizzato da Pfizer e BioNTech sembra mettere i ragazzi a rischio elevato di sviluppare un'infiammazione del muscolo cardiaco, la miocardite, affermano i ricercatori in Israele. In un rapporto presentato ieri al Ministero della Salute israeliano, concludono che tra uno su 3000 e uno su 6000 uomini di età compresa tra 16 e 24 anni che hanno ricevuto il vaccino hanno sviluppato la rara condizione. Ma la maggior parte dei casi è stata lieve e si è risolta in poche settimane, il che è tipico della miocardite. "Non riesco a immaginare che sarà qualcosa che possa indurre i medici a dire che non dovremmo vaccinare i bambini", afferma Douglas Diekema, pediatra e bioeticista del Seattle Children's Hospital. I funzionari sanitari israeliani hanno segnalato per la prima volta il problema ad aprile, quando hanno segnalato più di 60 casi, per lo più in giovani uomini che avevano ricevuto la seconda dose di vaccino pochi giorni prima. Nello stesso periodo, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha iniziato a monitorare 14 casi di questo tipo. A metà maggio, anche i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno affermato che stavano esaminando i casi di miocardite. I funzionari dell'Agenzia europea per i medicinali hanno dichiarato il 28 maggio di aver ricevuto 107 segnalazioni di miocardite a seguito del vaccino Pfizer-BioNTech, ovvero circa una su 175.000 dosi somministrate. Ma relativamente poche persone sotto i 30 anni sono state vaccinate in Europa. I risultati del panel israeliano arrivano mentre Israele e molti paesi europei stanno discutendo se gli adolescenti più giovani debbano essere vaccinati contro il COVID-19. Israele ha vaccinato gli adolescenti dai 16 anni in su dalla fine di gennaio e il Ministero della Salute dovrebbe annunciare domani se le vaccinazioni saranno aperte ai bambini dai 12 anni in su. Altri paesi, tra cui Stati Uniti e Canada, hanno iniziato a vaccinare i bambini dai 12 anni in su a metà maggio.
L'Agenzia europea del farmaco (Ema) riconosce "possibili" legami di causa-effetto tra il vaccino di Johnson & Johnson e gli eventi "molto rari" di trombosi cerebrale che si sono verificati negli Usa. L'Ema evidenzia che nella somministrazione di Janssen, il vaccino di Johnson & Johnson, "i benefici superano i rischi". Si legge in una nota dell'Agenzia Ue, al termine della revisione sul siero, dopo rarissimi casi di trombosi cerebrale negli Stati Uniti.
Lo
rivela uno studio di fase 2 condotto presso il Hackensack University Medical
Center, nel New Jersey. La terapia con il plasma
derivato dal sangue dei guariti da Covid-19 è
sicura e migliora
significativamente gli esiti clinici dell’infezione da coronavirus Sars-Cov-2
quando il livello di anticorpi neutralizzanti è sufficientemente elevato. Lo
rivela uno studio di fase 2 condotto presso il Hackensack University Medical Center, nel New Jersey,
che ha valutato le condizioni di 51 pazienti con Covid-19 trattati con il
plasma ad alto titolo anticorpale. I risultati della sperimentazione,
pubblicati nel dettaglio sulla rivista JCI Insights, hanno chiaramente indicato
la sicurezza del trattamento e il trasferimento degli anticorpi antivirali senza impedire ai destinatari di produrre
anticorpi propri. I pazienti, tutti con segni di polmonite
da Covid-19, sono stati divisi in due gruppi a
seconda della necessità di assistenza respiratoria e hanno ricevuto
un’infusione di plasma ad alto titolo anticorpale diretto contro la proteina
virale Spike – la maggior parte con una proporzione di 1 : 1.000 o anche
superiore: i pazienti non ventilati meccanicamente hanno mostrato un tasso di
sopravvivenza significativamente più alto (88,9%) a 30 giorni, con una
sopravvivenza globale del
72,5% rispetto a un gruppo di confronto della stessa rete
sanitaria.
Nel mondo infuria la nuova guerra
del XXI secolo, quella dei vaccini. La geopolitica mondiale viene
riscritta a colpi di contratti, diffide, consegne, blocchi all’export.
Cavilli che oggi prendono il posto dei più classici mortai e carri armati, ma
che lasciano corpi a terra allo stesso modo. Le potenze mondiali provano a
trascinare l’Europa nella loro sfera d’influenza, tentandola con generose
offerte o minacciandola con tagli crudeli. All’Africa, come sempre e al di fuori
di qualche rarissima eccezione, è precluso sedere al tavolo delle multinazionali Big Pharma. Eppure, anche in questo mondo così diverso da quello che
vorremmo, c’è qualche eccezione, anche se così piccola da essere
difficile da identificare sul mappamondo, parliamo di Cuba, la piccola
isola tropicale che da sempre in campo medico ha avuto molto da insegnare a
tutti. Grazie al PrevengHo-vir,
farmaco omeopatico che è stato somministrato gratuitamente come profilassi per
il covid19, l’isola
ha contato 61.472 infezioni e 370 morti (fonte: John Hopkins University) su 11 milioni di abitanti. L’Italia, con una
popolazione che supera di poco i 60 milioni, ha registrato 3,2 milioni di casi
e 102mila decessi. A Cuba è
morta di Covid19 lo 0,00003% della popolazione. In Italia l’1,7%.
Lo studio. L’indagine del Bambino Gesù ha coinvolto 66 pazienti di
età compresa tra 1 e 15 anni ricoverati nel Centro Covid del Bambino Gesù di
Palidoro nell’estate del 2020. La ricerca è stata promossa dal gruppo di studio
“Cactus - Immunological studies in children affected by Covid and acute
diseases”, creato da medici e ricercatori del Dipartimento Pediatrico
Universitario Ospedaliero del Bambino Gesù nel pieno dell’emergenza sanitaria.
La maggior parte dei bambini inseriti nello studio era paucisintomatica
a inizio infezione, mentre a una settimana di distanza risultava già
asintomatica e clinicamente guarita. Allo studio non hanno preso
parte i pazienti che presentavano un quadro severo, come quello della MIS-C(
sindrome Kawasaky Like).
“Come emerge dalla letteratura scientifica chi ha contratto il
virus ed è guarito ha sviluppato un’immunità completa e la possibilità di ricontagiarsi o
ammalarsi costituisce una rara eccezione, nella
fattispecie riportata un solo caso su centinaia di milioni (1. Zucman N et al.
Clin Infect Dis. 2021 Feb 10)- prosegue l’esperto- Gli studi, con tutti limiti
dovuti al breve lasso di tempo intercorso dall’inizio della pandemia, rilevano
che chi ha avuto l’infezione è protetto e non contagioso per almeno 8 mesi (2.
Hartley GE et al. Sci Immunol. 2020 Dec), senza considerare che se gli
anticorpi scomparissero la protezione sarebbe assicurata dalle cellule di
memoria pronte a ricostruirli in caso di nuovo contatto con il virus. La questione interessa un’enorme fetta
di popolazione: oltre il 50% dei soggetti contrae il virus e guarisce senza
accorgersene e, se contiamo i quasi 3 milioni di
vaccinati, in Italia sono almeno 10
milioni le persone non infettive e non infettabili, per le
quali non ha senso limitare le libertà personali, e che invece potrebbero
dotarsi di un certificato sierologico”.
“In questo contesto si inserisce il gran numero di eventi avversi
che si stanno verificando, determinando la fuga dalle vaccinazioni, e che
devono essere evitati con un più razionale impiego dei vaccini- spiega ancora
Giorlandino- Perché ci sono queste forti
risposte infiammatorie e si muore di infarto e trombosi dopo i vaccini?
L’attenzione si concentra sull’esagerata risposta anticorpale che colpisce,
come una tempesta immunoglobulinica, chi è già protetto da una precedente
immunizzazione (soprattutto soggetti ignari di essere
stati infettati e guariti). La letteratura scientifica internazionale (3.
Nature Microbiology volume 5, pages 1185-119, 2020) tira in ballo il meccanismo
Antibody-Dependent Enhancement (ADE), che potrebbe determinare addirittura
un aumento della aggressività e virulenza del virus invece di proteggere
l’organismo vaccinato. Per
evitare tali eventi avversi e non sprecare dosi di vaccini, sembra necessario
effettuare prima della vaccinazione uno screening sierologico con tecnica di
immunocromatografia per rilevare l’eventuale presenza di anticorpi. È
evidente che non si vaccina per un virus già contratto, che sia influenza
stagionale, epatite, rosolia. È
infatti escluso ogni beneficio per chi ha avuto il virus inoculato, anzi si
rischia una impropria e pericolosa risposta immunitaria”.
Tratto da Agenzia Dire 16 Marzo 2021