sabato 30 maggio 2020

APPELLO DEI PEDIATRI SULLA CONDIZIONE DEI BAMBINI DURANTE LA PANDEMIA


Fin dall’inizio della pandemia i genitori e gli operatori dei servizi per l’infanzia si sono preoccupati di quanto i bambini sarebbero stati affetti dall’infezione da Covid-19. Su questo punto i dati sono ormai consolidati e coerenti tra i diversi studi effettuati, in Paesi diversi e da diversi gruppi di ricerca: i bambini si ammalano molto poco; e quando lo fanno, le manifestazioni cliniche sono lievi. Le eccezioni sono poche, per lo più limitate a manifestazioni infiammatorie scatenate dal virus, tra le quali la più nota e importante è la vasculite (malattia simil- Kawasaki) non specifica del Covid-19, ma potenzialmente scatenata dal Covid-19. Si tratta di una malattia nota e descritta in Italia fin dai primi anni ’80 e che i pediatri hanno imparato a riconoscere e trattare.
La seconda preoccupazione è stata quella di sapere fino a che punto i bambini potevano costituire serbatoio e fonte di contagio. Su questo punto le evidenze sono meno coerenti, ma ancora piuttosto solide: i bambini possono albergare il virus, e verosimilmente trasmetterlo, ma la possibilità di trasmissione è estremamente bassa.
Viceversa, si stanno accumulando le evidenze sui danni collaterali provocati in bambini dalle conseguenze del lockdown e soprattutto della chiusura prolungata di servizi educativi e scuole. Per tutti, tranne quei pochi che possono vantare una buona dotazione tecnologica in casa e genitori in grado di accompagnarli nelle lezioni e nei compiti, si sta accumulando un ritardo educativo, che per la maggioranza (secondo Save the Children e Sant’Egidio, almeno 6 su 10) è molto rilevante, e non può essere nascosto dietro i pur doverosi sforzi di didattica a distanza. Al danno educativo si associano manifestazioni di disagio psicologico, aumentato rischio di violenza subita o assistita, riduzione di qualità degli apporti alimentari, riduzione dei supporti abilitativi e a volte strettamente medici per bambini affetti da disabilità o patologie croniche, naturalmente in stretta relazione con la qualità e offerta preesistente dei servizi, già carenti in molte parti d’Italia.

martedì 26 maggio 2020

Sanificazione : siamo alle comiche ......


Bene le mascherine, la distanza, il lavaggio delle mani, ma che ce ne facciamo dei disinfettanti, delle sanificazioni a tutto spiano? Riusciamo a distinguere l’ambiente sanitario, l’ospedale, dalla nostra casa, dal luogo di lavoro, dai parchi giochi dei bambini? Le regole necessarie non sono le stesse.
Paura del contagio da superfici, oggetti, tastiere di computer, borse della spesa, abiti… Una certa giustificazione c’è: ottimi lavori scientifici dimostrano che, in condizioni sperimentali controllate, il maledetto SARS-CoV-2 riesce a sopravvivere per un certo tempo [1-2-3]. E tuttavia, la probabilità di infettarsi toccando superfici, tastiere, maniglie, sedili è infinitamente piccola, risibile nella vita reale.
 Anche una certa logica scientifica c’è: SARS-CoV-2 è un virus a trasmissione respiratoria e col suo respiro un infetto, anche asintomatico, emette miliardi di quegli ormai famosissimi droplets, le microgoccioline di vapore acqueo che possono anche veicolare cellule epiteliali del nostro apparato boccale, cioè un epitelio in continuo rinnovamento. Queste goccioline restano sospese nell’aria per un certo tempo per poi cadere a terra o sulle superfici che circondano l’infetto. Alcune di queste goccioline contengono anche cellule dove è attiva la replicazione del virus.
 Così, un malcapitato può avere la sfortuna di raccogliere con le mani queste goccioline fresche, prima che si disidratino con la conseguente morte del loro contenuto. E tuttavia, raccoglierle con le mani ancora non garantisce l’infezione al malcapitato, nemmeno se si mette le mani in bocca: infatti il virus non si trasmette per via cutanea né per via orale, basta la saliva a farlo fuori!

mercoledì 13 maggio 2020

Allo studio nuovi farmaci: Anakinra


Sperimentato all’Ospedale San Raffaele di Milano, a 21 giorni dal trattamento, il 72% dei pazienti mostrava un miglioramento della funzione respiratoria e dell'infiammazione sistemica. De Donno al Senato per le sue cure. Si deve accelerare la ricerca volta a utilizzare contro il coronavirus Sars-CoV-2 vecchi farmaci nati per curare altre malattie. È l’appello lanciato sulla rivista Science dal gruppo del farmacologo Kiplin Guy, dell'università del Kentucky. Le procedure delle sperimentazioni devono essere compresse in termini di settimane, in modo da avere degli strumenti per affrontare eventuali nuove ondate epidemiche. Servono studi controllati, scrivono i ricercatori, per sperimentare contro la Covid-19 un gran numero di farmaci esistenti, dall'idrossiclorochina al remdesivir, e questo va fatto in tempi più rapidi di quanto attualmente permettano di fare commissioni etiche e le autorità regolatorie, abituate a sviluppare progetti di sperimentazione che si protraggono per mesi, mentre la pandemia impone ormai di agire in termini di settimane. E la prima risposta arriva da uno dei suoi centri di eccellenza di cura e di sperimentazione: l'ospedale San Raffaele di Milano. Nell'ambito delle diverse ricerche sui farmaci portate avanti in più centri a livello nazionale, uno studio presentato con ottimismo ma anche con prudenza - condotto dall'immunologo Giulio Cavalli, e coordinato da Lorenzo Dagna, primario dell'Unità di immunologia e reumatologia - mostra l'efficacia e la sicurezza del farmaco antiartrite Anakinra capace di spegnere l'eccessiva risposta immunitaria causata dalle forme gravi di Covid-19. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Lancet Rheumatology. La sperimentazione, su 29 pazienti ricoverati al San Raffaele in ventilazione non-invasiva e con quadri clinici ad alto rischio, è stata effettuata all'interno del maxi studio clinico osservazionale su Covid-19 coordinato da Alberto Zangrillo, direttore della Unità di anestesia e rianimazione e da Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica. Il farmaco agisce neutralizzando Interleuchina-1 (IL-1), una molecola infiammatoria prodotta dal sistema immunitario in risposta alle infezioni. "Per bloccare la risposta infiammatoria eccessiva e dannosa scatenata dal coronavirus, abbiamo utilizzato il farmaco a un dosaggio più elevato e con una somministrazione diversa rispetto all'abituale, endovenosa e non sottocutanea. A 21 giorni dal trattamento, il 72% dei pazienti mostrava un netto miglioramento della funzione respiratoria e dell'infiammazione sistemica", spiega Giulio Cavalli.   Il gruppo di pazienti Covid-19 trattati con dosi elevate di Anakinra è stato confrontato retrospettivamente con un gruppo di controllo di 16 pazienti che, al contrario, aveva ricevuto solo la terapia standard. La differenza è notevole: nel gruppo di controllo la funzione respiratoria è migliorata solo nel 50% dei pazienti e la mortalità è risultata essere quattro volte superiore.     "I risultati ottenuti dovranno essere confermati da ulteriori studi, di dimensione maggiore, ma sono promettenti. Considerato inoltre che Anakinra è un farmaco accessibile e immediatamente disponibile in Italia e in gran parte del mondo, quanto da noi descritto potrebbe avere un risvolto clinico immediato: una terapia off-label sicura per attenuare la tempesta infiammatoria scatenata dal nuovo coronavirus", precisa Lorenzo Dagna. Che sottolinea: "Mentre fino ad oggi è stata posta una grande attenzione sull'interferenza con la replicazione virale, i nostri dati suggeriscono come il controllo dell'infiammazione possa essere cruciale". Per quanto riguarda le cure col plasma iperimmune, il professor Giuseppe De Donno sarà ascoltato in Commissione Sanità del Senato, giovedì 14 Maggio alle ore 9.45.

mercoledì 6 maggio 2020

ATTACCHI CONTRO LA CURA CON PLASMA


Il primario che ha introdotto le cure col plasma di convalescenza racconta dei continui attacchi da parte dei colleghi . Giuseppe De Donno, primario del reparto Pneumologia dell‘ospedale Carlo Poma di Mantova, intervenuto ad un forum su Dottnet con Giulio Tarro, Vincenzo Malammaci e Marco Cossolo di Federfarma, è un fiume in piena: ne ha contro tutti, ma soprattutto ha il dente avvelenato con i suoi colleghi che l’attaccano: "Vanno a parlare in tv, mentre i loro specializzandi scrivono i lavori, noi invece ci permettiamo di assistere 18 ore al giorno i nostri pazienti", dice senza mezzi termini. De Donno ha avviato una cura sperimentale sui pazienti affetti da Covid, adottando il "plasma di convalescenza", cioè il plasma donato da chi stato già infettato ed è guarito. Una svolta nelle cure contro il coronavirus ma che evidentemente non è andata giù a qualcuno: "Siamo riusciti a Mantova, insieme con Pavia, a realizzare questa sperimentazione che è molto seria anche se qualcuno ha voluto farla passare addirittura per una buffonata". Nelle due città capofila sono stati trattati finora quasi 80 pazienti con problemi respiratori gravi ma non gravissimi col plasma e nessuno è deceduto con un tasso di mortalità pari a zero. A Mantova è stata creata una banca del plasma, un'idea che andrebbe replicata in tutta Italia e che potrebbe arginare un'eventuale seconda ondata.  "Roberto Burioni, invece, è arrivato a dire che la terapia col plasma ha un costo esorbitante – sbotta De Donno -. Ma come si permette di fare affermazioni così gravi? Una sacca da 300 ml costa 160 euro circa per due pazienti, ovvero 80 euro ad ammalato: una cifra irrisoria che salva una vita".

lunedì 4 maggio 2020

INFUSIONE DI ANTICORPI PER I MALATI DI COVID 19


La sperimentazione è iniziata da poche settimane e sta dando risultati ritenuti "estremamente incoraggianti" Estrarre anticorpi da pazienti guariti da Covid-19 per infonderli in malati gravi che sono ancora intubati e hanno il 40% di possibilità di morire. E' la nuova, forse rivoluzionaria, tecnica messa a punto dai medici dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la struttura che è stata al centro dell'epidemia di coronavirus. La sperimentazione è iniziata da poche settimane e sta dando risultati ritenuti "estremamente incoraggianti". "Finora nessuno dei pazienti sottoposti al trattamento con questa procedura è morto o ha avuto effetti collaterali - spiega Piero Luigi Ruggenenti, direttore dell'unità di Nefrologia e Dialisi dell'ospedale bergamasco, che coordina le infusioni effettuate dai medici Stefano Rota e Diego Curtò - Anche per il donatore non c'è alcun rischio.