martedì 30 settembre 2008

L'omeopatia e i bambini: sondaggio

Su supplemento Salute è stato pubblicato, a cura di Sara Ficocelli, il seguente breve articolo:
" Sono meno della metà i genitori italiani che utilizzano la medicina non convenzionale per curare il figlio. Il comitato scientifico del focus "Nuove tendenze in diagnostica e terapia pediatrica" ha analizzato il rapporto tra medicina non convenzionale e pediatria con un'indagine che verrà presentata oggi a Bologna nell'ambito del convegno "Nuove tendenze in diagnostica e terapia pediatrica" (fino al 27 settembre, organizzato da Società di Pediatria, di Tossicologia e di Farmacologia). La ricerca ha preso in esame 600 genitori con almeno un figlio non maggiore di 10 anni che avessero già utilizzato questo tipo di farmaci. A tutti sono state poste 12 domande chiuse, molte delle quali a risposta multipla. Il 75% degli intervistati ha dichiarato di conoscere l'omeopatia e di averne fatto uso almeno una volta; bene la Fitoterapia ma scarsa quella sui fiori di Bach: solo il 23,9% degli intervistati ha curato il proprio figlio almeno una volta con questi rimedi. I dati più sorprendenti riguardano l'osteopatia e la chiropratica: quasi la metà dei genitori interpellati ignorava il significato di queste parole.In media, chi ricorre a cure non convenzionali lo fa nella convinzione che si tratti del rimedio più naturale e il 54,3% dei genitori la ritiene una terapia adatta ai bambini, tanto che nella maggior parte dei casi le prime somministrazioni avvengono sotto i 3 anni e per curare malattie come l'otite, il mal di gola o il raffreddore. Solo il 17,4% degli intervistati, però, considera questi farmaci davvero più efficaci di quelli tradizionali. Risultati di efficacia ottimi o discreti per oltre il 95% di intervistati; costo della cura superiore ai farmaci tradizionali per il 58% dei genitori. Per questo se ne chiede (89,6%) la rimborsabilità."

venerdì 26 settembre 2008

www.amedeo.com


Il titolo di questo post può sembrare talmente autoreferenziale da rasentare l'imbarazzo. In realtà non ha nulla a che vedere con chi scrive ma si riferisce ad uno dei più interessanti siti bibliografici reperibili su internet. E' possibile abbonarsi ad una newletter settimanale e ricevere sulla popria casella di posta elettronica una ottima selezione di abstract scelti tra riviste internazionali; il nome del sito nasce dalla strada in cui è ubicata la sua sede, Via Principe Amedeo.... !
Tra le altre risorse un nutrito gruppo di libri on line, alcuni un po' datati, altri ancora leggibili per l'aggioranamento e poi quello che i gestori del sito considerano il fiore all'occhiello della propria attività, una pubblicazione annuale sull'infezione da HIV.

giovedì 25 settembre 2008

La Carta di Padova

La Federazione nazionale degli ordini dei medici e chirurghi (Fnomceo) con il contributo dell’Associazione Nazionale dei Medici per l’Ambiente (Isde) ha varato una Carta sulla tutela della Salute e dell’Ambiente (Padova,maggio 2008) frutto di un anno di lavoro comune tra Fnomceo e Isde Italia. La Carta indica i principi per una corretta analisi e gestione dei problemi ambientali e rappresenta una sorta di decalogo per stabilire il percorso da intraprendere per attuare una corretta prevenzione. L’inquinamento ambientale, infatti ,sta producendo seri danni alla salute, tanto che il 75% delle patologie e delle cause di morte è associato al degrado ambientale e a stili di vita scorretti. Secondo recenti studi, hanno sottolineato gli esperti, danni possono aversi anche dalle molteplici sostanze chimiche che vengono utilizzate quotidianamente: la maggior parte, infatti, non è ancora stata adeguatamente testata e valutata in termini di sicurezza. La Carta di Padova sancisce come la tutela dell’ambiente sia un dovere per il medico ed una sfida per la medicina: “La professione medica non è rivolta con la cura delle malattie (diritto alla vita) al solo miglioramento e all’allungamento della vita, è altresì indirizzata alla prevenzione delle malattie tramite l’individuazione dei possibili fattori nocivi immessi nell’ambiente e la promozione dell’ambiente e salute (diritto alla salute)….La professione abbraccia l'etica della responsabilità, che supera l'ambito individuale si impone su scala mondiale per le ripercussioni che attengono ai nostri comportamenti che si riflettono su scala planetaria e riguardano il destino delle generazioni future”.
Enrica Campanini, medico, Firenze

martedì 23 settembre 2008

Arnica e Dicloflenac

E' stato pubblicato recentemente un lavoro sul Journal of Alternative in Complementary Medicine (rivista indexata su Medline e peer-reviewed) che mostra l'equivalenza di Arnica D4 e Diclofenac nel trattamento del dolore post-chirurgico in pazienti operati per alluce valgo.
Lo studio, in doppio cieco, è stato condotto su 88 pazienti e sono stati valutati i seguenti parametri:
- segni infiammatori
- dolore
- mobilità del paziente
- uso di ulteriori analgesici.
Arnica D4 si è mostrato equivalente a Diclofenac per quanto riguarda i prametri 1 e 4. Diclofenac ha evidenziato un effetto analgesico modestamente superiore, mentre i pazienti trattati con Anrica hanno recuperato più velocemnte la loro capacità motoria. Il farmaco omeopatico ha causato molti meno effetti collaterali (2, pari al 4,5%) rispetto al Dicloflenac (9, pari a 20,45%).
In cosiderazione di questi dati e del fatto che il trattamento con Arnica ha un costo inferiore del 60% gli autori sottolineano la possibilità che questo farmaco omeopatico venga utilizzato nel trattamento post-operatorio della chirurgia del piede.
Giulio Viganò, medico, Milano

lunedì 22 settembre 2008

PARACETAMOLO E ASMA NEL BAMBINO

Il paracetamolo è il farmaco piu’ usato per abbassare la febbre nel bambino,la sua bassa tossicità e maneggevolezza lo rendono un farmaco molto diffuso e sicuro,tuttavia uno studio neo-zelandese comparso su Lancet di Settembre , (2008;372:1039-48),documenta un aumento dei casi di asma nei bambini che lo hanno utilizzato nelle prime età della vita.

Lo studio effettuato al Medical Research Institute su 200.000 bambini nell’ambito dell’International Study of Asthma and Allergies in Childhood(ISAAC),ha evidenziato che l’esposizione al paracetamolo nel primo anno è associata ad un incremento di circa il 50% dei casi di asma oltre a rinocongiuntivite ed eczema all’età di 6-7 anni.Questi studi vengono comunque ritenuti insufficienti,secondo i ricercatori, per modificare il comportamento dei genitori in caso di febbre, poiché comunque il paracetamolo risulta a tutt’oggi il prodotto meno tossico (se confrontato con ibuprofene o acido acetilsalicilico).

L’assunzione di acido acetilsalicilico(aspirina)infatti è stato associata nei bambini sotto i dodici anni, all’insorgenza di una grave malattia (la sindrome di Reye) provocata dall’associazione del farmaco e da malattie virali (varicella o sindromi simil –influenzali),mentre l’ibuprofene ha effetti indesiderati sull’apparato gastrointestinale che possono andare dalla nausea,dolori addominali e diarrea all’emorragia.

Saranno pertanto necessari altri studi per confermare queste osservazioni e comparare gli effetti a distanza del paracetamolo con altri farmaci antifebbre in uso in pediatria.

Elena Bosi pediatra

sabato 20 settembre 2008

"Indirizzare" i pazienti può essere reato

Leggo su Toscana Medica News n. 23 del 18/09/2008 e riporto integralmente una notizia di interesse generale riguardante l'attività medica specialistica in struttura pubblica .

La Corte di Cassazione, quarta sezione penale, ha pronunciato una interessante sentenza (n. 27936 del 08/07/2008) che chiarisce la condotta che deve tenere il medico quando "suggerisce" al paziente di effettuare visite o accertamenti presso una determinata struttura. Secondo la Suprema Corte, la condotta del medico specialista di una struttura pubblica, il quale per conseguire un vantaggio patrimoniale, in violazione del dovere di astensione, indirizzi un paziente verso il laboratorio di cui egli sia socio, per l'espletamento di un esame che si sarebbe potuto eseguire anche presso una struttura pubblica della stessa città, integra il delitto di abuso di ufficio. Il medico si era difeso sostenendo che il presidio ospedaliero ove egli operava non disponeva della strumentazione specifica per svolgere l'esame e che quindi il suo "suggerimento" non doveva essere considerato illecito, ma i giudici hanno rilevato che il medesimo identico esame ben poteva essere espletato nei contigui presidi ospedalieri della stessa ASL, ben noti al sanitario, e raggiungibili senza particolari disagi dai pazienti, attesa la prossimità territoriale, per cui la condotta del medico è stata ritenuta meritevole di condanna.
Massimo Tilli, medico, Firenze

lunedì 15 settembre 2008

Additivi alimentari ed iperattività nei bambini

Uno studio, pubblicato dalla rivista Lancet (McCann D et al. Food additives and hyperactive behaviour in 3-year-old and 8/9-year-old children in the community: a randomised, double-blinded, placebo-controlled trial. Lancet. 2007 3; 370: 1560-7 ) e commissionato dalla Food Standards Agency (FSA, Agenzia britannica di vigilanza sui cibi) alla Università di Southampton stabilisce chiaramente un legame tra alcuni additivi alimentari largamente diffusi in commercio ed iperattività (disattenzione, impulsività, attività superiore alla norma) e deficit dell’attenzione, nei bambini di 3 e 8-9 anni di età, e non solo in quelli affetti dalla sindrome ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder). Si tratta di alcuni coloranti come il giallo arancio E110 e E104, l’azorubina E122, la artrazina E102, il rosso cocciniglia E124 e il rosso allura E129 ed un conservante, il benzoato di sodio E211 presenti in merendine, bibite, gelati, caramelle, succhi di frutta, chewing-gum, di larga diffusione.
L’aumentata iperattività è associata allo sviluppo di difficoltà educazionali, specialmente riguardo la capacità di lettura, e può compromettere la capacità dell’apprendimento scolastico.
Enrica Campanini, medico, Firenze

giovedì 11 settembre 2008

Dislessia e terapie complementari


Nel breve giro di pochi giorni mi trovo ad invitare nuovamente alla riflessione su questo blog su articoli pubblicati su importanti riviste scientifiche, impostati in maniera sovrapponibile, riferiti a patologie di grande peso sociale per il cui approccio clinico si fa riferimento alle CAM.
In questo caso mi riferisco a un articolo pubblicato nel maggio scorso, a firma di Bull L. (della School of Life Sciences, Roehampton University, London), sulla rivista International journal of language & communication disorders / Royal College of Speech & Language Therapists, dal titolo “Survey of complementary and alternative therapies used by children with specific learning difficulties (dyslexia)” (link)
Partendo dal presupposto che la dislessia è un’affezione che colpisce il 10% della popolazione infantile britannica, l’autore osserva come in assenza di un efficace trattamento convenzionale sia verosimile il ricorso da parte dei genitori alle medicine complementari ed alternative (CAM). Obiettivo di questo studio era pertanto definire: a) la durata del trattamento mediante CAM dei bambini dislessici; b) il ruolo dei fattori socio-demografici nell’utilizzo delle CAM in questi piccoli pazienti; c) la predisposizione familiare riguardo l’utilizzo delle CAM per il trattamento della dislessia infantile; d) l’influenza sull’utilizzo delle CAM delle conoscenze dei genitori in merito alla patologia.
Anche in questo caso l’autore ha somministrato ai genitori di bambini dislessici (n=148) uno specifico questionario. Il 52% dei casi (82 bambini) ha dichiarato di ricorrere alle CAM per la cura della dislessia. Nella maggior parte dei casi (63 bambini) l’approccio era di tipo nutrizionale (integratori alimentari o diete speciali). 29 bambini erano trattati omeopaticamente e altrettanti con osteopatia o chiropratica. In questo studio i fattori socio-demografici non sono risultati utili al fine di predire l’utilizzo delle CAM. I genitori di 101 bambini dislessici hanno dichiarato che l’interesse nei confronti delle CAM per il trattamento della dislessia era basato su una loro propensione più generale verso questo tipo di approccio terapeutico. Peraltro i genitori che erano maggiormente orientati verso un’interpretazione della dislessia di tipo medico erano anche maggiormente predisposti all’utilizzo delle CAM (p<0.01).
L’autore conclude ribadendo il frequente utilizzo delle CAM nel trattamento della dislessia infantile e sollecitando il personale sanitario e pedagogico ad un maggior supporto informativo nei confronti dei genitori, al fine di invitarli a scelte maggiormente orientate verso le evidenze scientifiche.
I tre studi che ho recentemente riportato sul blog (riferiti oltre alla dislessia anche al trattamento dei tumori e della sclerosi multipla) hanno tutti in comune alcuni elementi: la volontà di verificare quanto siano diffuse le CAM negli approcci terapeutici di queste patologie, la tendenza a confondere queste metodiche terapeutiche fra di loro (ad esempio dietologia, chiropratica e omeopatia partono da presupposti scientifici ben differenti), la ricorrenza di alcune caratteristiche socio-culturali nella tipologia dei pazienti che si rivolgono a queste terapie. In tutti i campioni esaminati ricorre l’utilizzo delle CAM in una percentuale significativa e generalmente viene riportato un favorevole riscontro relativo ai risultati terapeutici.
Di fondo si percepisce comunque un atteggiamento di perplessità da parte degli autori, che giungono anche (come nel caso della dislessia) a richiedere il perfezionamento degli strumenti di diffusione delle evidenze scientifiche, con ciò ritenendo chiaramente che una maggiore informazione potrebbe disincentivare i pazienti dal rivolgersi alle CAM.
Ancora una volta mi chiedo se non sarebbe il caso di provare a formulare delle domande in maniera differente: in quali patologie e/o in quali pazienti le CAM possono essere utilizzate in maniera proficua? Possono supportare (o in alcuni casi sostituire) un approccio convenzionale? Per quale ragione i pazienti si rivolgono alle CAM e si dichiarano soddisfatti di questi approcci?
Valuto comunque favorevolmente il fatto che un elevato numero di articoli venga pubblicato su importanti riviste scientifiche da parte di autori non necessariamente vicini alle CAM.

Giorgio Di Leone – Medico - Bari

lunedì 8 settembre 2008

Sclerosi multipla e terapie complementari

La rivista Multiple sclerosis (Houndmills, Basingstoke, England) ha appena pubblicato sul numero di settembre di questo anno un interessante articolo a firma di Schwarz S. et al. dal titolo “Complementary and alternative medicine for multiple sclerosis ” (link )
Gli autori, dell’Università di Heidelberg in Germania, hanno voluto analizzare in un ampio campione (n=1573) di soggetti affetti da sclerosi multipla caratteristiche e motivazioni che li hanno indotti a rivolgersi alle terapie complementari (CAM), e gli effetti di tali scelte.
Il campione oggetto dello studio, individuato tra i membri della Società di sclerosi multipla della Germania (con una durata media della patologia pari a 18.1 +/- 10.5) è stato invitato a rispondere ad una questionario con 53 item. Il 44% dei pazienti ha mostrato una attitudine positiva verso le CAM (di questi il 70% fa un uso costante di almeno un metodo).
Tra le CAM citate, il 41% riferisce modificazioni della dieta, il 37% utilizza acidi grassi Omega-3, il 28% rimozione delle otturazioni in amalgama, il 28% l’utilizzo di vitamina E, il 36% di vitamina B, il 28% di vitamina C, il 26% di medicinali omeopatici e il 24% di selenio.
Il 69% del campione ha dichiarato di essere soddisfatto degli effetti delle CAM.
L’utilizzo delle CAM è risultato essere associato con scelte religiose, grado di autonomia, sesso femminile, lavoro di tipo impiegatizio ed elevata educazione. In confronto con le terapie convenzionali, le CAM hanno raramente mostrato effetti indesiderati (9% vs 59%).
Nel 52% dei casi i pazienti hanno dichiarato che la consultazione iniziale con i loro medici convenzionali è durata meno di 15 min.
Le conclusioni degli autori sono che le principali ragioni per il ricorso alle CAM sono l’elevata frequenza di effetti indesiderati e il basso livello di soddisfazione che questi pazienti dichiarano in riferimento al trattamento convenzionale e i troppo fugaci contatti medico/paziente.
Anche in questo caso si deve rilevare come, a fronte di un’indagine ben condotta e con numeri significativi, vi sia di fondo una scarsa conoscenza delle terapie complementari ed alternative (CAM), con la tendenza a generalizzare inglobando sotto questa definizione approcci terapeutici profondamente differenti tra di loro. Se è inoltre vero che le motivazioni di fondo per la scelta di queste metodiche da parte dei pazienti sono in genere ricorrenti, scarsa attenzione viene dedicata ai reali effetti clinici di queste terapie.
Giorgio Di Leone – Medico - Bari

domenica 7 settembre 2008

Tumori e medicine complementari

Nel numero di maggio/giugno 2008 della rivista scientifica “Tumori” (il cui abstract è recuperabile al seguente link) è stato pubblicato a firma di Johannessen H. et al. un interessante contributo dal titolo “Prevalence in the use of complementary medicine among cancer patients in Tuscany, Italy”.
L’accademico danese parte da un precedente lavoro pubblicato nel 2005 da Molassiotis et al. che segnalava come a fronte di una percentuale europea di utilizzo di medicine complementari e alternative (CAM) mediamente pari al 36%, in Italia tale percentuale si attestava su un significativo 73%. In quello studio veniva inoltre segnalata la predilezione degli italiani intervistati verso l’omeopatia, la fitoterapia e le “terapie spirituali”.
Utilizzando lo stesso questionario adottato da Molassiotis, Johannessen ha inteso ripetere l’esperienza in due day hospital oncologici toscani, includendo nel suo studio 132 pazienti in trattamento chemioterapico. Hanno risposto al questionario il 71% dei pazienti. Nel 17% dei casi è risultato il ricorso alle CAM successivo alla diagnosi di cancro (nel 52% dei casi fitoterapia, nel 30% omeopatia, e nel 13% agopuntura). L’utilizzo più frequente è ricorso nelle aree urbane, nel sesso femminile, per le pazienti affette da carcinoma della mammella e nelle persone con più elevato livello di istruzione.
Questi risultati sembrano essere allineati con analoghi studi sull’utilizzo delle CAM nella popolazione italiana ed europea in generale, così come analogamente nella popolazione oncologica italiana.
Le conclusioni precedentemente pubblicate da Molassiotis non possono pertanto essere considerate, a parere di Johannessen, come una stima nazionale sull’utilizzo delle CAM in pazienti oncologici italiani. Riflettono comunque un relativamente elevato utilizzo delle CAM fra le terapie palliative di questi pazienti. Così come viene confermato il maggiore ricorso a questi approcci nelle regioni settentrionali e nelle aree urbane. Il loro utilizzo (in Italia e fra i pazienti toscani in trattamento chemioterapico) sembrerebbe nello studio di Johannessen meno significativo che in altre nazioni europee.
A chiusura della lettura di questo lavoro, devo rilevare come il campione oggetto di studio sia particolarmente ridotto e come sia alquanto problematico estrapolare conclusioni di carattere generale partendo da numeri così esigui. Il tema mi sembra comunque di particolare interesse e meriterebbe ulteriori approfondimenti su scala più ampia. Rimane la considerazione che risulta, a mio avviso, meno interessante la speculazione su quanti pazienti oncologici si rivolgano alle CAM in Italia o in Europa mentre sarebbe probabilmente più significativo provare a domandarsi per quale ragione questo avvenga: insoddisfazione nei confronti degli approcci tradizionali o effettiva possibilità di ottenere un ausilio?
Giorgio Di Leone – Medico - Bari

mercoledì 3 settembre 2008

...Un pò di orzo per cominciare...

Scorrendo Pubmed ho trovato un interessante articolo pubblicato nel 2003 dalla rivista Homeopathy di cui vi riporto l’abstract:

“Il processo di dinamizzazione mediante il quale sono preparati i medicinali omeopatici solleva il problema che questi farmaci possano avere solo effetto placebo, dal momento che teoricamente non contengono più le molecole attive della sostanza diluita. Studi “Plant models" permettono di esaminare l’efficacia delle soluzioni preparate omeopaticamente. Lo studio eseguito ha esaminato gli effetti di una preparazione omeopatica di acido gibberellico (HGA3) sulla performance di germinazione dei semi di orzo (Hordeum vulgare L.). L'effetto di HGA3 (4-200 CH) sul livello di germinazione dei semi e sullo sviluppo delle piantine è stato confrontato con i dati ottenuti utilizzando l’acido di gibberellico (GA3)e con una sostanza di controllo (acqua distillata).
Il grado e il tipo di risposta era dipendente dal livello di vigore del seedlot (semi campione). Trattando i semi da tre gruppi di diversa vigoria con HGA3 si è ottenuto un considerevole accrescimento delle piantine. I semi di alto-vigore trattati con HGA3 4 - 30 e 200 CH hanno germinato più velocemente e le radici dei seedlots di medio-vigore trattati con HGA3 15 CH sono risultate più lunghe. Sono stati dimostrati inoltre effetti bifasici di HGA3. Questo studio, con la riuscita germinazione dei semi di orzo, ha dimostrato la capacità di HGA 3 di produrre una risposta biologica. "
Enrica Campanini, medico, Firenze