martedì 22 dicembre 2020

IL VIRUS MUTA

 


E' comparsa per la prima volta a fine settembre in Inghilterra, per poi diffondersi sempre di più, tanto che a novembre la sua presenza è stata rilevata anche in Danimarca e Australia. La variante inglese del coronavirus SarsCov2, grazie al suo alto tasso di contagiosità che può arrivare fino al 70% in più, si appresta a diventare il ceppo prevalente in Europa, creando timori per l'impatto sulle strutture sanitarie. Secondo gli esperti non dovrebbe creare problemi con il vaccino in arrivo, nè essere più letale, ma con una maggiore contagiosità la pressione per gli ospedali potrebbe diventare insostenibile. Oltre che nel Regno Unito, è stata rilevata in Australia, Olanda, Danimarca, Belgio, Italia e forse anche Germania. Più della metà dei casi di Covid segnalati nel sud-est dell'Inghilterra sono risultati collegati a questa nuova variante. La maggior parte delle persone colpite ha meno di 60 anni, in Galles l'età media è di 41 anni. Vista la sua estrema trasmissibilità, il Consiglio europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) ha invitato i paesi europei ad analizzare i virus isolati in modo tempestivo per identificare i casi della nuova variante. Vanno identificati immediatamente i contatti delle persone positive alla nuova mutazione o chi ha viaggiato nelle aree colpite, in modo da testarli, isolarli e tracciare i loro contatti.  Secondo una ricerca del consorzio COVID-19 Genomics Uk, Imperial College di Londra, Wellcome Trust Sanger Institute e università di Oxford, Cambridge, Edimburgo, Birmingham, Glasgow e Cardiff, sono tre le principali mutazioni della variante da considerare con attenzione. La prima, N501Y, è presente sulla proteina Spike, che il virus utilizza come una chiave molecolare per aprire la serratura che gli permette di entrare nella cellula. La seconda, 69-70del, è una delezione, ossia nasce dal silenziamento di un gene. "Era già stata descritta in precedenza - rileva il virologo Francesco Broccolo - e consentirebbe al virus di sfuggire al sistema immunitario". La terza mutazione, P681H, è avvenuta in una posizione strategica per il virus, ossia è adiacente al sito nel quale viene controllata l'azione della furina, l'enzima che scinde la proteina Spike, permettendo al virus di entrare nella cellula. "Una mutazione del genere faciliterebbe quindi il contagio", osserva Broccolo. Va considerato inoltre, aggiunge il virologo, che "queste tre mutazioni si sono venute a trovare in un'unica variante, che dà forza al virus".  Tre le ipotesi fatte dall'Ecdc sull'origine della variante inglese, secondo cui, visto l'insolito alto numero di mutazioni della proteina spike, "non è emersa attraverso il graduale accumulo di mutazioni in Gran Bretagna".

La prima ipotesi è che si sia sviluppata con una prolungata infezione da SarsCov2 in un paziente immunodepresso, in cui possono essersi accumulate più mutazioni capaci di eludere il sistema immunitario. L'altra è che, grazie ad un processo di adattamento il virus, presente negli animali, sia stato ritrasmesso all'uomo dall'animale, come accaduto negli allevamenti di visioni in Danimarca e Olanda. La terza ipotesi è che la variante sia emersa attraverso la circolazione in paesi con poca o inesistente copertura di sequenziamento genetico. Qualsiasi sia l'origine, quello che appare probabile è che i laboratori europei dovranno ricontrollare e aggiornare i nucleotidi usati nei vari metodi diagnostici del SarsCov2, quali i tamponi molecolari e i test antigenici. "La variante del virus individuata in Gran Bretagna non è rilevabile da tutti i test attualmente disponibili -avverte Broccolo - La rileviamo solo se la cerchiamo con il sequenziamento, un esame che solo alcuni laboratori possono condurre".

 

 Tratto da INFETTIVOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 21/12/2020

 

Nessun commento: