È stato recentemente pubblicato un interessante articolo sul Journal of the Royal Society of Health dal titolo “Will new regulations reverse the 'drop' in homeopathy?”. La ricercatrice Hay L., del Department of Physiology, University of Limpopo, Medunsa Campus, South Africa, si è mossa da un quesito che molto spesso ciascuno di noi si pone nella sua pratica quotidiana: premesso che l’omeopatia viene “reclamizzata” come una pratica terapeutica innocua, i pazienti che ne fanno uso ne traggono realmente beneficio anche quando utilizzata in associazione con altri approcci terapeutici? O ancora, è ipotizzabile un utilizzo dell’omeopatia in associazione con un approccio terapeutico tradizionale?
In primo luogo mi preme sottolineare come nutro qualche perplessità sull’affermazione che l’omeopatia sia un approccio terapeutico “innocuo”. Come qualsiasi medicinale, anche quello omeopatico (che è dotato di effetto terapeutico) può comportare, se male utilizzato, effetti indesiderati. Se è vero infatti che l’approccio omeopatico può essere ritenuto meno “aggressivo” rispetto ai medicinali di sintesi, è pur vero che vengono descritti in letteratura casi di aggravamenti (non fisiologici) che richiedono particolare attenzione da parte dell’omeopata. Sia sufficiente ricordare, a titolo puramente esemplificativo, il caso dell’aggravamento che può essere determinato da un medicinale fortemente centripeto some Sulfur (anche, se non soprattutto, a diluizioni spinte), in un soggetto particolarmente sensibile.
In secondo luogo, si discute da più parti della possibilità di utilizzare i medicinali omeopatici in associazione con farmaci tradizionali. Al riguardo occorre segnalare come una buona parte del mondo omeopatico più “ortodosso” guarda con molta perplessità a queste eventuali commistioni, ricordando come molti farmaci tradizionali possano avere un effetto antagonizzante rispetto al medicinale omeopatico (ad es. cortisonici o antistaminici) o come possano essere ritenuti alla base di possibili sicotizzazioni (ad es. di nuovo i cortisonici, l’ormonoterapia o la vaccinoterapia). È pur vero che il principale (se non l’unico) obiettivo del medico è sempre quello di ottenere il massimo beneficio possibile per il proprio paziente, e che vincoli di natura etica e deontologica (quando non medico legale) impongono l’utilizzo dei medicinali più efficaci. Ritengo pertanto che nella pratica comune di tutti i medici omeopati (anche dei più ortodossi) sia già contemplata la possibilità di scegliere, a seconda delle differenti situazioni, la migliore terapia da adottare per il proprio paziente: omeopatia pura, esclusivamente terapia tradizionale o varie forme di commistione dei differenti orientamenti, avendo sempre presente l’obiettivo della salute del paziente nell’ottica di un possibile approccio integrato.
G. Di Leone – Medico - Bari
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