Arriva l'influenza A: dobbiamo avere paura?
"La pioggia di dati sull'influenza da virus H1N1, la Nuova A, che ogni giorno ci invade ormai da molti mesi è sacrosanta, ma rischia di non rispondere alla domanda della gente, che invece è una sola: dobbiamo avere paura oppure o no? Siamo di fronte ad una pandemia mortale, una peste del ventunesimo secolo, o si tratta di un'altra influenza dal nome e l'origine più fantasiosi? Io penso che il panico è da escludere, la prudenza no. Tutti i virus influenzali, quelli che definiamo "stagionali", causano una lieve mortalità, in media intorno all'1 per mille dei contagiati. Al momento questo nuovo virus non sembra discostarsi sostanzialmente da questa percentuale, anche se dobbiamo tenere conto che, in caso di dati mondiali, i numeri relativi ai contagi sono di difficile interpretazione, perché in molti Paesi, con strutture sanitarie meno avanzate, numerosi casi non vengono identificati e neppure segnalati. In Italia, dove il sistema si è mosso con indubbia efficienza come nel resto d'Europa, si riportano fino ad oggi fra i 1.600 e i 1.800 contagi e nessun decesso. Siamo quindi in linea con una normale influenza, che però ha, per il resto, caratteristiche nuove. Ciò che possiamo infatti dedurre con ragionevole certezza dai dati internazionali sono il tipo di virus e le sue tendenze di diffusione. Prima di tutto va precisato che le notizie dall'emisfero australe, che sta aprendo la stagione influenzale con il "doppio virus" (quello stagionale e la nuova A) sono rassicuranti perché il virus ad oggi non è mutato, cioè nel moltiplicarsi non è diventato più pericoloso per la salute rispetto all'esordio. La malattia ha mostrato due caratteristiche: una grande velocità di contagio e una "predilezione" per i più giovani, tratto che la rende peculiare rispetto alle altre forme e che ha messo in speciale allarme i pediatri. Va detto anche che non appare fra le sue caratteristiche la gravità: la regola è la guarigione, non le complicanze e tantomeno la morte. Alvaro Ulribe, presidente della Colombia, ha appena annunciato, senza problemi di "immagine", di essere stato contagiato e lo staff si è dichiarato per nulla preoccupato perché la malattia è stata da subito sotto controllo. Si è ammalato anche Raffael Correa, presidente dell'Ecuador, ed già è guarito Oscar Arisa Sanchez, presidente del Costarica. Del resto la terapia è disponibile, per tutti: si tratta di antivirali già presenti sul mercato. Che fare però per evitare di ammalarsi? Il periodo di diffusione durerà molti mesi e dunque mi sembra inutile spostare l'inizio della scuola, come è stato proposto in Italia, perché significherebbe perdere l'anno scolastico. Così come non appare pensabile rimandare i viaggi all'estero perché i flussi di spostamento della popolazione, soprattutto i giovani, da un Paese all'altro ormai sono continui e inarrestabili. Non serve quindi stravolgere le proprie abitudini di vita e farsi ossessionare dall'incubo del contagio.
È più utile prestare attenzione particolare ai sintomi tipici influenzali e segnalarli subito al proprio medico, oltre che seguire le norme igieniche preventive che si applicano a tutti i contagi. Penso che in realtà dobbiamo tutti abituarci gradualmente all'idea che paradossalmente sulla diffusione dei nuovi virus il mondo moderno appare più fragile del mondo antico. Nell'era della globalizzazione, come accennavo, non ci sono più, a farci da barriera, gli oceani e le grandi distanze via terra. E anche il concetto di "cordone sanitario" si è di conseguenza, indebolito: l'allarme si diffonde più tardi rispetto alla velocità dei viaggi e il gran numero di viaggiatori nel mondo. Esiste, dall'altra parte, un "sistema di salvataggio" (controlli, terapie, vaccini) più efficiente, che rischia di incepparsi, però, se la popolazione non segue razionalmente le raccomandazione di comportamento, perdendosi nelle proprie ansie. Nel caso di un nuovo allarme di malattia, l'emotività può creare fragilità nelle strutture sanitarie e indurle ad adottare misure sproporzionate, con l'obiettivo di debellare più la paura che il virus. Questo è il rischio che possiamo e dobbiamo evitare."
"La pioggia di dati sull'influenza da virus H1N1, la Nuova A, che ogni giorno ci invade ormai da molti mesi è sacrosanta, ma rischia di non rispondere alla domanda della gente, che invece è una sola: dobbiamo avere paura oppure o no? Siamo di fronte ad una pandemia mortale, una peste del ventunesimo secolo, o si tratta di un'altra influenza dal nome e l'origine più fantasiosi? Io penso che il panico è da escludere, la prudenza no. Tutti i virus influenzali, quelli che definiamo "stagionali", causano una lieve mortalità, in media intorno all'1 per mille dei contagiati. Al momento questo nuovo virus non sembra discostarsi sostanzialmente da questa percentuale, anche se dobbiamo tenere conto che, in caso di dati mondiali, i numeri relativi ai contagi sono di difficile interpretazione, perché in molti Paesi, con strutture sanitarie meno avanzate, numerosi casi non vengono identificati e neppure segnalati. In Italia, dove il sistema si è mosso con indubbia efficienza come nel resto d'Europa, si riportano fino ad oggi fra i 1.600 e i 1.800 contagi e nessun decesso. Siamo quindi in linea con una normale influenza, che però ha, per il resto, caratteristiche nuove. Ciò che possiamo infatti dedurre con ragionevole certezza dai dati internazionali sono il tipo di virus e le sue tendenze di diffusione. Prima di tutto va precisato che le notizie dall'emisfero australe, che sta aprendo la stagione influenzale con il "doppio virus" (quello stagionale e la nuova A) sono rassicuranti perché il virus ad oggi non è mutato, cioè nel moltiplicarsi non è diventato più pericoloso per la salute rispetto all'esordio. La malattia ha mostrato due caratteristiche: una grande velocità di contagio e una "predilezione" per i più giovani, tratto che la rende peculiare rispetto alle altre forme e che ha messo in speciale allarme i pediatri. Va detto anche che non appare fra le sue caratteristiche la gravità: la regola è la guarigione, non le complicanze e tantomeno la morte. Alvaro Ulribe, presidente della Colombia, ha appena annunciato, senza problemi di "immagine", di essere stato contagiato e lo staff si è dichiarato per nulla preoccupato perché la malattia è stata da subito sotto controllo. Si è ammalato anche Raffael Correa, presidente dell'Ecuador, ed già è guarito Oscar Arisa Sanchez, presidente del Costarica. Del resto la terapia è disponibile, per tutti: si tratta di antivirali già presenti sul mercato. Che fare però per evitare di ammalarsi? Il periodo di diffusione durerà molti mesi e dunque mi sembra inutile spostare l'inizio della scuola, come è stato proposto in Italia, perché significherebbe perdere l'anno scolastico. Così come non appare pensabile rimandare i viaggi all'estero perché i flussi di spostamento della popolazione, soprattutto i giovani, da un Paese all'altro ormai sono continui e inarrestabili. Non serve quindi stravolgere le proprie abitudini di vita e farsi ossessionare dall'incubo del contagio.
È più utile prestare attenzione particolare ai sintomi tipici influenzali e segnalarli subito al proprio medico, oltre che seguire le norme igieniche preventive che si applicano a tutti i contagi. Penso che in realtà dobbiamo tutti abituarci gradualmente all'idea che paradossalmente sulla diffusione dei nuovi virus il mondo moderno appare più fragile del mondo antico. Nell'era della globalizzazione, come accennavo, non ci sono più, a farci da barriera, gli oceani e le grandi distanze via terra. E anche il concetto di "cordone sanitario" si è di conseguenza, indebolito: l'allarme si diffonde più tardi rispetto alla velocità dei viaggi e il gran numero di viaggiatori nel mondo. Esiste, dall'altra parte, un "sistema di salvataggio" (controlli, terapie, vaccini) più efficiente, che rischia di incepparsi, però, se la popolazione non segue razionalmente le raccomandazione di comportamento, perdendosi nelle proprie ansie. Nel caso di un nuovo allarme di malattia, l'emotività può creare fragilità nelle strutture sanitarie e indurle ad adottare misure sproporzionate, con l'obiettivo di debellare più la paura che il virus. Questo è il rischio che possiamo e dobbiamo evitare."
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