lunedì 25 settembre 2017

Smartphone, educazione, scuola e dintorni

Cari lettori, ben ritrovati. Siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico e anche questo inizio porta con se nuovi dibattiti educativi, uno degli ultimi: smartphone a scuola, sì o no? Ritorno oggi su un tema a me molto caro, sul quale lavoro e studio fin dall’inizio della mia attività clinica: relazioni online e offline, educazione digitale, ambiente virtuale. Il dibattito avviato dal nostro ministro dell’istruzione rischia, come al solito, di diventare una lotta di classe, tra la fazione del “sì” e quella del “no”. Ma un argomento così articolato e complesso non può essere ridotto ad un sì o un no, non facciamoci ingannare. Mi piacerebbe, quindi, provare ad andare alla base di quella che si chiama “educazione digitale”.  E mi chiedo con voi che senso abbiano queste parole. Potremmo parlare di educazione “al” digitale, nel caso intendessimo insegnare ai nostri ragazzi e a noi stessi come utilizzare gli strumenti che la ricerca tecnologica ci mette a disposizione. Ma ci rendiamo conto che questo sarebbe troppo riduttivo: i ragazzi forse conoscono già le funzionalità dei vari modelli di smartphone e comunque imparerebbero ad utilizzarli con semplicità, ma per cosa li utilizzano, a quale scopo, questo è quello che interessa a chi vuole educare. Senza la preposizione, educazione rimane educazione.
Allora possiamo chiederci, come adulti e genitori, se non abbiamo proprio smesso di educare o se, forse, lo facciamo con modalità troppo lontane dal linguaggio dei nostri ragazzi. Il dibattito sugli smartphone a scuola può diventare occasione per tutti per essere più attenti all’educazione. Partiamo dalle basi, partiamo dal rispetto. Impegniamoci ad educare i ragazzi al rispetto di sé e dell’altro, ricordiamo loro che l’altro non è un nemico o un ostacolo sulla nostra strada, ma è l’indispensabile risorsa che ci permette di crescere, di svilupparci, di esserci nel mondo e di stare bene, anche con noi stessi. La psicologia, e la psicoanalisi in particolare, lo sostengono da sempre: l’altro è fondamentale, la relazione con l’altro è fondativa della mia identità e del mio benessere. Solo se vengo riconosciuto dall’altro allora esisto, solo se il bambino è in relazione affettiva con l’altro (genitori) allora può svilupparsi e crescere sano, solo se cerco una relazione con l’altro riesco ad uscire da quei momenti difficili e di sofferenza della mia vita. L’altro merita tutto il mio rispetto e merita di essere riconosciuto da me -esattamente come io da lui- per quello che è e non rinchiuso in categorie. E l’altro esiste sempre, anche nell’ambiente digitale. I nostri ragazzi -ma anche noi!- spesso interagiamo sui social come se l’altro non ci fosse: non è così. Ricordiamo ai nostri ragazzi che dietro ad uno schermo c’è sempre una persona in carne ed ossa che pensa, ama, soffre, gioisce, lavora, studia esattamente come noi. È rispettandola che rispettiamo noi stessi: se interagiamo tra persone reali, presenti e vive -anche quando lo facciamo nell’ambiente digitale- l’interazione ha senso e porta con se benessere e sviluppo. Non dimentichiamoci, cari lettori, che solo la comunità degli adulti che lavora insieme può sperare di educare ed educarsi efficacemente. Non basta che ognuno faccia bene il suo pezzetto, rimarrebbero tante tessere tutte perfette ma inutili. Il puzzle bisogna comporlo, ma nessuna manona gigante (neanche lo Stato) lo farà al posto nostro. Dobbiamo farlo noi. Insieme.

di Marco Bernardi
Psicologo e Psicoterapeuta


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