giovedì 9 ottobre 2008

Giocare per forza

Basta giocare per forza! Giochiamo quando ci pare e piace!

Segnalazione del libro di Ermanno BENCIVENGA, Giocare per forza. Critica della società del divertimento, Bruno Mondatori, Milano 2007, pp. 182.


A che gioco giochiamo noi tutti?
A che gioco giocano i bambini?
Ma giocano o vengono giocati?
E qual è la posta in gioco?
Chi c’è dall’altra parte del tavolo?
Quali trucchi usa per farci perdere?
E cosa perdiamo?
Cosa perdono i nostri figli?

A queste e ad altre domande cerca di rispondere un filosofo, Ermanno Bencivenga. La prima edizione del suo libro, Giocare per forza, era del 1995. La recente riedizione aggiornata non smentisce l’analisi precedente, ma anzi conferma l’aggravarsi del fenomeno. Quale? Da Disneyland al proliferare di parchi giochi, tematici, acquatici, dai quiz televisivi ai videogame, dalle mille diavolerie di internet ai villaggi turistici e alle notti bianche, la parola d’ordine, l’unico comandamento scrupolosamente osservato da tutti, è “Divertitevi!”.
Ma di che divertimento si tratta? Anzi, visto che si chiede sempre di più la partecipazione, l’interazione, il coinvolgimento delle persone, di che gioco si tratta?
L’autore, filosofo italiano docente da lunghi anni negli Stati Uniti, ha girato in lungo e in largo le capitali del divertimento, come Orlando in Florida o Las Vegas, ma ha anche analizzato le nostre forme di gioco e intrattenimento, scoprendo che la vera finalità dell’esplodere di così tanto divertimento coatto è il business.
Il divertimento è il più grande affare del secolo. Ed è la nostra religione! Una volta la maggior parte della gente alla domenica andava in chiesa, oggi va ai centri commerciali. Così come, osserva l’autore, se analizzate bene i nostri quiz televisivi vi accorgerete subito che viene recitato un lungo rosario di…pubblicità.
Il gioco, il divertimento, le città meraviglia, le luci, le attrazioni, i paesi dei balocchi, i centri commerciali servono per sedurci. Come in un centro commerciale dove c’è tutto per accontentare tutti, grandi e piccini, donne e uomini: cinema, pizzeria, salagiochi, boutiques, sauna, relax, sport, supermercato, ecc. Si deve poter passare nel village tutta la giornata, felici e contenti.
Spendendo.
Ma non è questo il problema. Ognuno può fare dei suoi soldi e della sua vita ciò che vuole.
Il guaio è che questo tipo di gioco non richiede sforzo, disciplina, applicazione, invenzione. Il nostro giocare per forza, insomma, sta uccidendo la creatività, perché è ossessiva ripetizione di qualcosa creato da altri, sta mortificando la nostra intelligenza, riempie quello spazio vuoto e toglie quel tempo inutile che sono fondamentali per sviluppare il dono più prezioso che l’uomo ha e che i nostri bambini non riescono più ad avere: la fantasia.
Prof Claudio Bernardi
Docente di Antropologia del Teatro
Università Cattolica di Brescia

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