domenica 8 febbraio 2015

La via dell’abbraccio: i nostri bambini nei primi anni di vita.

La via dell’abbraccio: i nostri bambini nei primi anni di vita.
Eccoci, cari lettori, al punto di partenza del nostro viaggio. E da dove partire se non dalla nascita? Capita spesso di pensare alla nascita come ad un evento talmente naturale e quasi ovvio -in fondo, è ad sempre che si nasce così- che ci si dimentica della sua caratteristica più importante. È forse l’evento più sconvolgente della nostra vita. Immaginate di essere all’improvviso, proprio mentre state leggendo queste righe, catapultati fuori dalla vostra stanza e di trovarvi non nel corridoio di casa vostra ma su Marte: niente ossigeno, una gravità che vi fa sembrare di pesare meno della metà (un sogno per tanti di noi!), una temperatura mai sentita prima. È perfino difficile da immaginare! Eppure ogni bambino vive questa esperienza all’inizio della sua vita. È un passaggio “dall’acqua all’aria”, nel vero senso della parola. Il bambino abituato a nuotare dentro la sua mamma, al sicuro, al caldo, con confini precisi e con quel ritmo di sottofondo tanto confortante, si trova in poco tempo in un posto che non è il suo. Prima la sensazione dell’aria sulla pelle, poi i suoni, le voci, la luce e i colori tutti nuovi e, infine, la cosa più sconvolgente: si trova senza il cordone ombelicale che gli ha fornito sangue, alimento e ossigeno tenendolo in vita fino a quel momento. Possiamo immaginare quale senso di smarrimento deve attraversare il suo piccolo corpicino, dalla tesa ai piedi, ammesso che si renda bene conto dove inizi la sua testa e dove finiscano i suoi piedi!
Ed ecco che il nostro piccolo comincia la frenetica ricerca -tanto gratificante per mamma e papà- di una luce, una voce, un odore o un altro “oggetto” sensibile che si può toccare, che si può sentire vivo, che può tenerlo insieme evitandogli di andare in pezzi. E allora via alla ricerca del capezzolo, del calore di un abbraccio, della voce familiare sentita per nove mesi, dell’odore che tanto ricorda il vecchio mondo, di qualcuno che lo tenga, lo sostenga e lo contenga.
Ed ecco che da questo momento la mamma e il papà diventano davvero mamma e papà. Tra le tante cose che accadono nei primi mesi, credo che quella più difficile da raggiungere -ma più decisiva- sia la ricerca di un ritmo condiviso. Sintonizzarsi sui ritmi del sonno e della veglia, il ritmo del latte che sgorga dal seno e quello del succhiare del bambino, il guardarsi e il lasciare che il bambino guardi da un’altra parte, il tenere fra le braccia e il lasciare che il bambino si allontani un po’. Sono questi scambi a dare senso al mondo del bambino, a permettergli di sentirsi vivo e integro e non spezzettato. Mamma e bambino sono due partecipanti attivi del dialogo e del processo. E il successo di questo adattamento reciproco passerà anche attraverso molti fallimenti e mancanza di sintonizzazione. Ma non c’è da preoccuparsi: vostro figlio non vi chiede di essere tecnicamente perfetti, di conoscere tutte le tecniche di allattamento del mondo, di sapere scientificamente ogni strategia di accudimento, di conoscere tutte le malattie che possono venirgli, di essere sempre ossessivamente pronti a tutto. No, vi chiede una cosa più difficile: vi chiede di esserci. Di tenerlo e di contenerlo, di fargli sentire il vostro affetto, di fargli sperimentare che agli errori si può rimediare. Dall’inizio della vita i genitori aiutano il bambino a capire che ogni cosa ha un inizio, una transizione e una fine. Che non sempre si può essere sintonizzati ma che si può riparare l’errore. La nostra presenza continua e il nostro tentativo di sostituirci a nostro figlio per evitargli dolori e frustrazioni non gli renderà la vita più facile. Anzi. Così facendo gli impediamo di sviluppare le sue risorse (di autoregolazione) e lo illudiamo di avere il controllo e il dominio assoluto sull’altro. Ma neanche lasciarlo completamente da solo o cercare di farlo diventare indipendente da subito lo aiuta: ha bisogno della nostra presenza che gli fa percepire di avere una sicurezza, una base prima esterna e poi interna che gli dia fiducia. Nostro figlio nei primi anni di vita ha bisogno del nostro contenimento fisico, dei nostri abbracci che lo fanno sentire vivo e intero. Ha bisogno della nostra presenza e della nostra assenza (fisica ma non mentale), ha bisogno dei momenti di perfetta sintonia in cui ci sembra di capirlo e di capirci perfettamente e dei momenti di mancata sintonia in cui sperimentare di potercela fare da solo perché tanto poi la mamma e il papà ritornano sempre. Ha bisogno di noi come coppia e di noi come singoli. Ha bisogno di noi come persone umane e affettuose e non tecniche e professionali. E poi state tranquilli: di egregi tecnici e professionisti che possano aiutarvi nei momenti di crisi ne è pieno il mondo. Di genitori affettuosi -capaci di abbracci che contengono, di parole che danno senso al pianto e che ti fanno sentire la vicinanza, di giochi fatti non per sviluppare l’intelligenza ma godere nello stare insieme-, ecco, di genitori affettuosi, invece, vostro figlio ne ha solo due. Voi.


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Dott. Marco Bernardi, Psicologo

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