venerdì 29 febbraio 2008

L’artiglio del diavolo nella terapia del dolore artrosico

E’ stato pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista Phytotherapy Research (1) uno studio atto a valutare l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità dell’Artiglio del diavolo (Harpagophytum procumbens DC) nel trattamento dei cosiddetti dolori reumatici (AORC: Arthritis and other rheumatic conditions). Nel Regno Unito è stato realizzato uno studio aperto a singolo gruppo, durato otto settimane, che ha coinvolto 259 pazienti. Per le valutazioni sono stati adottati l’indice di WOMAC-I (Western Ontario and McMasters Universities Osteoarthritis), l’indice di AHOI (Algofunctional Hand Osteoarthritis Index), le usuali analisi ematiche, test di funzionalità epatica, questionari di autovalutazione, ecc. Sono risultati significativi (p < 0.0001) gli indici relativi al dolore globale, alla rigidità e alla funzionalità articolare. In particolare risultava diminuito il dolore a mani, polsi, gomiti, spalle, anche, ginocchia e schiena. La qualità della vita è risultata migliorata significativamente rispetto alla baseline. Almeno il 60% dei pazienti ha potuto ridurre o evitare l’assunzione concomitante di farmaci antidolorifici. Gli autori concludono che Harpagophytum procumbens rappresenta una opzione seria per il trattamento delle forme lievi o moderate di artrosi.
Appare evidente l’interesse clinico nell’utilizzo in terapia della pianta. Scrive Brunetton J., (2002): “In complemento alla terapeutica abituale, o quando la prescrizione antiinfiammatoria come prima istanza non è giustificata, il suo utilizzo è una possibilità che meriterebbe senza alcun dubbio di essere meglio valutata“.

(1)Warnock Mary et all., Effectiveness and safety of Devil's Claw tablets in patients with general rheumatic disorders

sabato 23 febbraio 2008

Ma a chi serve la memoria dell'acqua ?

Sono trascorsi ormai quasi venti anni dalla pubblicazione su Nature dell’articolo di Benveniste et al. sulla “memoria dell’acqua”, e ancora notevoli sono le polemiche che gravitano intorno a questo lavoro.

A fronte della curiosità e delle perplessità emerse in quel frangente, si è sviluppata negli anni successivi una ricca letteratura nettamente divisa tra i sostenitori e gli osteggiatori di questa ipotesi di lavoro. Indubbiamente la tesi suggerita da Benveniste e dai suoi numerosi colleghi apriva a scenari fino ad allora non accettati e non sostenibili con le moderne acquisizioni scientifiche, consentendo ipotesi di lavoro per successivi studi interpretabili in alcuni casi come rivoluzionari.

Si giustifica in questa maniera la particolare attenzione del mondo scientifico e dei media, e l’ovvia sensibilità mostrata su questo tema dal mondo omeopatico che riteneva di iniziare ad intravedere una risposta plausibile ai numerosi dubbi sul meccanismo d’azione delle alte diluizioni (vero cavallo di battaglia degli avversatori di questa metodica clinico-terapeutica).

Immediatamente dopo la pubblicazione di questo lavoro abbiamo assistito ad una violenta reazione da parte del fronte degli oppositori, che hanno ottenuto una seria revisione dell’esperimento imponendo addirittura nel nuovo gruppo di lavoro la presenza di esperti in pratiche occulte e in frodi scientifiche.

Non si può negare che gli studi pubblicati su Nature presentavano evidenti vizi concettuali e metodologici, come in seguito emerso anche con gli accertamenti effettuati e come evidenziato da parte degli stessi co-autori. Al riguardo, appare oggi particolarmente interessante la lettura delle Lettere all’Editore, pubblicate sul numero 97 di Homeopathy (scaricabile dal blog di Amico), attraverso le quali si cerca di fare qualche chiarezza su quell’episodio e sulle prospettive che comunque quegli studi potrebbero ancora mantenere.

In particolare B. Poitevin e F. Beauvais, che hanno partecipato agli studi di Benveniste e ne hanno condiviso la pubblicazione, evidenziano come già nel corso dei numerosi anni di sperimentazione che hanno preceduto l’uscita del numero di Nature erano emerse diverse criticità che aprivano dubbi interpretativi sulla riproducibilità dei dati. Vi era in sostanza il dubbio che determinati risultati fossero in qualche maniera involontariamente influenzati dallo sperimentatore o dalle condizioni fisiche dello stesso laboratorio nel quale si teneva lo studio. Basterebbe al riguardo ragionare sulla notevole quantità di impurità “comunque” presenti all’interno dell’acqua (o di un solvente qualsiasi).

Non volendo entrare nel merito scientifico della polemica, per il quale rimando alle più qualificate letture che vengono citate anche a margine delle lettere pubblicate su Homeopathy, vorrei però esprimere qualche considerazione da “utilizzatore del farmaco omeopatico” e non già da fine ricercatore:

  1. in primo luogo rimango sorpreso dal ruolo avuto da un’importante rivista scientifica come Nature, acclamata e riconosciuta a livello internazionale. Come è stato possibile consentire la pubblicazione di studi che presentavano così evidenti vizi concettuali e di forma? Per quali ragioni i referee della rivista non hanno da subito sollevato tutte le perplessità che hanno determinato immediatamente dopo la loro presa di distanza? Siamo tutti consapevoli di quanto sia complesso ottenere l’autorizzazione alla pubblicazione di uno studio (tanto più così controverso) su una rivista di tale fama. Se non fossi assolutamente convinto della serietà professionale e dell’onestà intellettuale di quanti hanno valutato preventivamente questa pubblicazione, sarei portato a concludere che l’autorizzazione sia stata assicurata proprio al fine di scatenare tutte le successive reazioni.

  2. È assolutamente importante assicurare la massima serietà degli studi pubblicati ed è auspicabile che “sempre” il mondo scientifico si interroghi sui risultati pubblicati e, partendo dal necessario presupposto della serietà professionale e della deontologia degli autori, analizzi criticamente, anche in maniera estremamente severa, ogni singola pubblicazione. È altresì comprensibile e giustificabile che particolare severità ed approfondimento siano dedicati a pubblicazioni riferite alle medicine complementari (e all’omeopatia in particolare), che ancora tanta strada devono fare verso l’obiettivo del rispetto dei canoni di scientificità e della ripetibilità dei risultati ottenuti. Non saranno certo i tantissimi seri professionisti che si impegnano nel campo dell’omeopatia ad accettare un abbassamento della guardia sulla qualità degli studi pubblicati. Sarebbe peraltro auspicabile che analoga seria revisione critica fosse assicurata anche a “tutte” le altre pubblicazioni mediche, individuando regole certe che garantiscano la piena trasparenza delle ricerche e dei risultati ottenuti e l’indipendenza economica dei ricercatori (che andrebbero necessariamente posti al riparo dagli interessi commerciali). Abbiamo purtroppo numerosi esempi che contrastano questo auspicio.

  3. Con l’avvento dell’Evidence Based Medicine i medici si sono abituati a ragionare in termini di evidenza delle prove scientifiche e di verifica dei risultati. L’approccio al paziente deve necessariamente fare riferimento a tutti i mezzi messi a disposizione dalla scienza medica, selezionati utilizzando i criteri ricercati mediante adeguate prove di efficacia. L’esperienza dimostra che non tutto è così facilmente codificabile e irreggimentabile: sono già numerosi gli esempi di eccezioni ammesse dalla comunità scientifica e numerose sono le critiche mosse al sistema dell’EBM (attualmente in fase di revisione). Il mondo omeopatico è caratterizzato da una difficoltà metodologica ad adeguarsi ai criteri di scientificità attualmente imposti, e deve pertanto affrontare lo sforzo di produrre le necessarie evidenze. Ogni serio medico omeopata valuta peraltro quotidianamente, al riparo del proprio studio, la qualità delle terapie proposte e l’efficacia del proprio approccio … nell’attesa della definizione di controversie scientifiche quali quella della “memoria dell’acqua” o della pubblicazione delle “necessarie” evidenze.
    Giorgio Di Leone

mercoledì 20 febbraio 2008

Attività ipolipidica di Anethum Graveolens


La nostra tradizione utilizza i frutti dell’Aneto (chiamati impropriamente semi), ricchi in olio essenziale, sia come aromatizzanti sia per le proprietà calmanti e antispasmodiche. Preparati a base di Aneto sono impiegati per calmare il singhiozzo e il vomito nervoso, nell'aerofagia e nelle coliche intestinali di origine nervosa, nel colon irritabile (azione antifermentativa) e nelle turbe dispeptiche. Grazie alle proprietà calmanti la pianta ha trovato impiego anche , come coadiuvante, nelle turbe minori del sonno e nelle coliche infantili. Recentemente è stato avviato (1) un interessante studio che ha riguardato le parti aeree della pianta da sempre utilizzate in Iran per l’azione ipolipidica. Per arrivare a comprendere la validità scientifica di tale uso è stata condotta una sperimentazione su cavia (ratti maschi Wistar :180 ± 20 g) utilizzando sia la polvere ottenuta dalle sommità fiorite sia l’olio essenziale (ricco in fellandrene, limonene e carvone) ottenuto per idrodistillazione dalla pianta. La somministrazione per os di O.E. (olio essenziale)per due settimane con posologie di 45, 90 e 180 mg/kg ha ridotto in modo significativo e dose-dipendente i valori di colesterolo totale , LDL-C e trigliceridi e aumentato i valori di HDL-C . Anche la somministrazione quotidiana di polvere di Aneto, aggiunto alla dieta delle cavie, ha fornito analoghi risultati. I ricercatori ritengono che Anethum graveolens possa rappresentare un utile agente di protezione cardiovascolare in virtù della sua azione ipolipidemizzante.

Enrica Campanini

(1)Valiollah Hajhashemi, Naser Abbasi - Isfahan Pharmaceutical Sciences Research Center, Isfahan University of Medical Sciences, Isfahan, I. R. Iran.: Hypolipidemic activity of Anethum graveolens in rats)

lunedì 18 febbraio 2008

Medicinali omeopatici, cenni legislativi


I medicinali omeopatici sono oggi regolamentati dal decreto legislativo 219/2006 (24 aprile 2006) cosiddetto anche testo unico del farmaco. Con esso vengono recepite ed attuate le direttive comunitarie 2001/83/CE e 2003/94/CE in materia di medicinali per uso umano(1)
Nell’articolo 1, comma 1 punto d) viene fornita la definizione:
“medicinale omeopatico: ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale
omeopatico può contenere più sostanze”.
L'autorizzazione all'immissione in commercio con procedura semplificata di un medicinale omeopatico è rilasciata se:
a) è destinato ad essere somministrato per via orale od esterna;
b) non reca specifiche indicazioni terapeutiche sull'etichetta;
c) ha un grado di diluizione tale da garantire la sicurezza.
Ai medicinali omeopatici con indicazioni terapeutiche è riservata invece la procedura di registrazione non semplificata.
Nel testo unico del farmaco sono inoltre riportate tutte le disposizioni quali: linee guida sulle norme di buona fabbricazione, controlli da effettuare, norme per la commercializzazione, e per la pubblicità.
Un aggiornamento a quanto contenuto nel testo unico del farmaco (d.to l.vo 219/2006) è stato apportato dal decreto legislativo del 29 novembre 2007(2) emanato dal Consiglio dei Ministri circa:
1.l’ autorizzazione a procedere con la registrazione semplificata di immissione in commercio per i medicinali omeopatici presenti al mercato fino al 6 giugno 1995 purché sia garantita la loro sicurezza. Si è così trovata una definitiva soluzione per questi medicinali che dal 1995 ad oggi erano autorizzati ope legis.
2.il permesso di consegnare al medico documentazione utile a ricordare posologia e campi di applicazione mediante pubblicazioni tratte da una delle farmacopee europee o dalla letteratura omeopatica o antroposofica. In quest’ultimo caso, deve essere stampigliato in modo visibile che trattasi di indicazioni per cui non vi è, allo stato, evidenza scientificamente provata dell’efficacia del medicinale omeopatico o antroposofico.” Tale autorizzazione è valida solo per i medicinali omeopatici o antroposofici senza indicazioni terapeutiche.

Helene Calogeropoulou

domenica 17 febbraio 2008

Appunti di Metodo: le tipologie sensibili

Il concetto di tipologia sensibile è determinato dalla esistenza di soggetti sani che durante la sperimentazione (o a seguito della raccolta dei dati derivanti dall’esperienza clinica quotidiana), a parità di condizioni, sviluppano per la stessa sostanza una sintomatologia più ricca e articolata rispetto agli altri partecipanti alla sperimentazione (responders).
Con il passare degli anni l’esperienza di molti omeopati ha portato a descrivere dei veri e propri modelli teorici caratterizzati da alcuni comuni denominatori.
Per alcune correnti di pensiero in omeopatia a matrice francese questi aspetti sono: 1) dati morfologici 2) bioreattività 3) temperamento 4) tendenze morbose.
Per quanto molto spesso vari autori hanno dipinto queste tipologie in modo suggestivo e accattivante, talvolta anche arbitrario, in particolare modo per quanto concerne le descrizioni caratteriali, va sempre posto l’accento sul pericolo dell’automaticità tra l’individuazione di una tipologia sensibile e la prescrizione dei rimedi nei malati cronici.
Da questo pericolo ci si è spesso poco salvaguardati. Nelle descrizioni dei nostri casi clinici e nella cartella per la raccolta dati, molti interrogativi che vengono posti ai nostri pazienti, e le risposte che ne riceviamo, hanno il fine di giungere all’individuazione di una tipologia. Meno spazio viene dato invece alla sintomatologia caratteristica, della quale il paziente soffre o ha sofferto in passato. L’accattivante suggestione provocata dalle descrizioni caratteriali di molti omeopati ha spesso ragione della obiettiva e scrupolosa raccolta dei sintomi modalizzati e caratterizzati che sono la vera peculiarità del metodo omeopatico. La conseguenza di tutto ciò è che molto spesso la prescrizione terapeutica risente in notevole misura dell’indicazione tipologica e rispetta molto meno l’elemento rappresentato dalla sintomatologia gerarchizzata e modalizzata, che invece dovrebbe rappresentare la principale fonte decisionale.
Bisogna sottolineare che tutto ciò che viene descritto nelle tipologie sensibili è molto spesso frutto di osservazioni speculative e teoriche. Solo e unicamente i sintomi caratteristici sono l’espressione delle sperimentazioni patogenetiche o tutt’al più delle osservazioni cliniche.
Individuare una tipologia sensibile è, o dovrebbe essere, estremamente difficile e comunque, nella maggior parte dei casi, rappresenta una meta raggiungibile con certezza solo in un momento successivo alla prima visita.
Solo con l’osservazione nel tempo, con la verifica del modo di reagire, si giunge alla conclusione che quel particolare soggetto può far parte di una determinata tipologia sensibile.
Da tutto questo possiamo dedurre che il dato tipologico è generalmente un punto d’arrivo, se mai si riuscisse a raggiungerlo, ma difficilmente potrà essere un punto di partenza sul quale magari impostare una terapia omeopatica.
Altro problema da considerare è la differenziazione di ciò che viene descritto nelle tipologie sensibili da quello che è di specifica pertinenza della sintomatologia caratteristica. Spesso confondiamo, ad esempio, la descrizione del comportamento con i sintomi caratteristici della sfera mentale, o anche facciamo confusione tra modalità e bioreattività.
Ferma restando la morfologia, che è un dato obiettivo, ma non assolutamente decisivo nella scelta del rimedio, e le tendenze morbose, che hanno l’importanza di dato predittivo, i problemi nascono proprio allorquando descriviamo il comportamento e la bioreattività.
Se per esempio consideriamo la descrizione comportamentale della tipologia sensibile di Lycopodium, vi troviamo: 1) emotività molto accentuata, con bisogno enorme d’affetto, mancanza di fiducia in se stesso, ansia profonda, paure varie. 2) Atteggiamento orgoglioso, autoritario, suscettibile, con scoppi di collera rari, ma violenti; il soggetto non sopporta di essere contraddetto; lo stress può indurre una tendenza alla depressione.
D’altra parte, nell’ambito della sintomatologia caratteristica della sfera mentale troviamo: ansia che peggiora nel pomeriggio, depressioni reattive con somatizzazioni, paura di restare solo, esplosione di collere violente. Tra le modalità: peggioramento con la contraddizione.
La descrizione del “temperamento” dell’individuo Lycopodium si sovrappone alla sintomatologia mentale o tutt’al più viene descritta con una gradazione più scolorita o con toni più bassi. Tutto questo può generare confusione. Andrebbe meglio differenziato ciò che è “carattere” da ciò che consideriamo sintomo mentale.
Per quanto riguarda la bioreattività (concetto peraltro non riscontrabile in nessuna materia medica, ma precipuo elemento di alcune scuola francesi) spesse volte corre il rischio di essere un aspetto ridondante e, se non utilizzato in maniera corretta, completamente superfluo. Esso va ben distinto dal concetto di modalità generali o di sintomo concomitante.
Sempre ritornando su Lycopodium, gli elementi che caratterizzano la sua bioreattività sono: l’intolleranza al caldo e ai luoghi chiusi, il desiderio di aria fresca, il desiderio di alimenti e bevande calde, il desiderio di zucchero e dolci, il desiderio di mitili mal tollerati, l’intolleranza ai farinacei e alle cipolle.
Bisogna sempre ricordare che la tipologia sensibile altro non è che la descrizione del soggetto in equilibrio, i cui elementi caratterizzanti vengono raccolti, in occasione della sperimentazione, come dati espressivi del modo di essere più profondo del soggetto sano. Spesse volte, ad un omeopata meno esperto ed accorto, può capitare di confondere gli elementi propri della “bioreattività”, tipologicamente intesa, con quelli riscontrabili nell’ambito delle modalità generali e dei sintomi concomitanti, che però rappresentano in ogni caso un aspetto dei sintomi caratteristici, quindi del quadro patologico o di squilibrio energetico del paziente. Questa confusione può anche derivare dalla considerazione che la descrizione della bioreattività del paziente non viene fatta in quanto tale dai diversi sperimentatori, ma viene generalmente, e talvolta arbitrariamente, estrapolata dai vari redattori delle diverse successive materie mediche.
Sembra di potere giungere alle seguenti conclusioni:
1.è sicuramente preferibile evitare quanto più possibile la prescrizione basata esclusivamente sugli elementi tipologici (che devono semmai essere delimitati in un’area in cui prevalga l’elemento retrospettivo, inteso come verifica delle modifiche indotte dalle patologie rispetto all’individuo in equilibrio).
2.Andrebbe invece valorizzata quanto più possibile la modalizzazione della sintomatologia caratteristica e la sua gerarchizzazione, vero elemento per la scelta terapeutica corretta in funzione del quadro morboso del paziente.
3.È necessario curare con grande attenzione l’utilizzo degli elementi di “bioreattività” della tipologia sensibile, facendo in modo che tali elementi non risultino ridondanti ed elemento di confusione rispetto alle modalità generali e ai sintomi concomitanti.
4.È necessario porre altresì particolare attenzione nella differenziazione degli elementi caratteriologici della tipologia sensibile rispetto ai sintomi caratteristici mentali.

Dott. Mario Di Leo
Dott. Giorgio Di Leone

mercoledì 13 febbraio 2008

La memoria dell'acqua: ancora un'eresia scientifica ?



Due numeri fa Homeopathy ha dedicato l'intero volume al ventennale dello studio scientifico che nel 1988 cambiò, con buona pace di molti, il modo di vedere e fare la ricerca di base in OMEOPATIA: "la memoria dell'acqua" come Le Monde chiamò il lavoro che Jacques Bienveniste pubblicò su Nature. Voglio qui allegare l'editoriale (disponibile on line) che Peter Fischer dedica all'argomento lasciando a prossimi post una rapida carrellata sugli altri interessanti articoli.
Qui il PDF dell'articolo.

lunedì 11 febbraio 2008

Storia: la Società Filoiatrica Fiorentina


Nel 1998 è stato casualmente rinvenuto, presso l'Istituto degli Innocenti, in Piazza S.S. Annunziata a Firenze, l'imponente giacimento librario storico medico scientifico, patrimonio della Società Filoiatrica Fiorentina fondata nel 1812 e del quale si erano perse le tracce da prima della seconda guerra mondiale.
La Società Filoiatrica Fiorentina aveva come scopo precipuo la diffusione e l'aggiornamento della cultura medica tramite letture e relazioni fatte regolarmente dai Soci. Il patrimonio librario, composto da oltre tremila volumi e che interessa la storia e lo sviluppo della medicina per un periodo che va dagli inizi del '500 sino alla metà dell''800, costituisce un corpus estremamente interessante per la ricchezza dei testi presenti, tra cui spiccano alcune edizioni di classici (Ippocrate, Galeno, ecc.) pubblicate nel '500. E' possibile, ad esempio, ammirare alcune cinquecentine, tra le quali una edizione Aldina, che raccoglie diversi autori classici, pubblicata dall'editore Aldo Manuzio a Venezia nel 1543. E' presente un testo di Galeno edito nel '600, fittamente annotato da uno studente dell'epoca che, diligentemente, si preoccupava di apprendere l'Arte Medica. Per quanto riguarda l'Anatomia ed la Chirurgia sono presenti i classici da Morgagni a Fabrizi d'Acquapendente, da Mercuriale a Valsalva, con le splendide tavole di anatomia, incise da Bartolomeo Eustachi sin dal 1552 ma riscoperte e pubblicate a cura di Lancisi solo nel 1714. Per la storia della Fitoterapia accanto ad alcune antiche farmacopee e ad alcuni trattati della fine del '600 sull'uso della China, spiccano una bella edizione dell'erbario di P.A.Mattioli, commentata da J.Camerario, medico e botanico tedesco vissuto nel '500, il libro di Prospero Alpino sulle piante egiziane (1640), il primo testo dove si parla del caffè, una serie di splendide tavole botaniche, colorate a mano, opera di Antonio Targioni Tozzetti, illustre botanico dei primi dell'800. Oltre al patrimonio librario, sono venute alla luce le comunicazioni che i soci della Filoiatrica, periodicamente, leggevano durante le loro adunanze: centinaia di interventi manoscritti da riordinare e rendere disponibili alla consultazione degli studiosi che, a partire dal 1812, coprono un periodo di oltre 150 anni.

La rifondata Società Filoiatrica Fiorentina, di cui mi onoro di far parte, si propone di salvaguardare ed aumentare il patrimonio librario e di mantenerne viva la memoria storico-medica. La Società Filoiatrica Fiorentina ha sede presso l'Istituto degli Innocenti - Piazza SS.Annunziata 12, a Firenze



Dott. Enrica Campanini

venerdì 8 febbraio 2008

Homeopathy


Il volume di Gennaio di Homeopathy (vol.97) disponibile a questo indirizzo contiene come sempre articoli interessanti e spunti di riflessione.
Personalmente, per approfittare della disponibilità on line degli articoli, consiglio la lettura del dibattito dal titolo: "Homeopathy—quackery or a key to the future of medicine" (pag 28-33); contiene uno scambio di opinioni ricco di osservazioni interessanti.

martedì 5 febbraio 2008

Fitoterapia: spunti di riflessione


“La terapia con le piante, ovvero la fitoterapia, ci appare come un dono della Natura. Essa è limpida e chiara per la sua naturalezza cosmica come primo momento del trattamento della malattia. Generazioni si sono servite di questi mezzi, hanno raccolto esperienze e le hanno custodite come un tesoro storico” (Boch,1980)
L’osservazione del mondo vegetale ci mostra come l’uomo sia una parte dell’insieme e come pertanto sia anche lui sottomesso alle leggi che governano la natura. Quanto più l’uomo cerca di dominare e allontanarsi dalla natura invece di inserirsi in essa in modo più consapevole, cosciente ed armonico, tanto più ne pagherà le conseguenze anche in termini di salute. Dobbiamo infatti imparare a “saper vedere” nell’armonia del piccolo l’armonia del tutto. Se pensiamo che quando utilizziamo una pianta come medicamento assumiamo una sostanza viva, organica, sottomessa quindi a leggi proprie, ma che riflettono l’armonia del tutto, ci possiamo rendere conto come l’avvicinarsi al mondo delle piante medicinali significhi prediligere un discorso di equilibrio uomo-natura, in cui l’essere umano è partecipe e non elemento passivo del momento terapeutico. E’ essenziale, pertanto, ritrovare un nuovo rapporto di rispetto e di equilibrio fra uomo e natura, perché l’equilibrio dell’uno rifletterà inevitabilmente quello dell’altro in quanto entrambi fanno parte di un unico insieme.

Dott.ssa Enrica Campanini