Nel numero di maggio/giugno 2008 della rivista scientifica “Tumori” (il cui abstract è recuperabile al seguente link) è stato pubblicato a firma di Johannessen H. et al. un interessante contributo dal titolo “Prevalence in the use of complementary medicine among cancer patients in Tuscany, Italy”.
L’accademico danese parte da un precedente lavoro pubblicato nel 2005 da Molassiotis et al. che segnalava come a fronte di una percentuale europea di utilizzo di medicine complementari e alternative (CAM) mediamente pari al 36%, in Italia tale percentuale si attestava su un significativo 73%. In quello studio veniva inoltre segnalata la predilezione degli italiani intervistati verso l’omeopatia, la fitoterapia e le “terapie spirituali”.
Utilizzando lo stesso questionario adottato da Molassiotis, Johannessen ha inteso ripetere l’esperienza in due day hospital oncologici toscani, includendo nel suo studio 132 pazienti in trattamento chemioterapico. Hanno risposto al questionario il 71% dei pazienti. Nel 17% dei casi è risultato il ricorso alle CAM successivo alla diagnosi di cancro (nel 52% dei casi fitoterapia, nel 30% omeopatia, e nel 13% agopuntura). L’utilizzo più frequente è ricorso nelle aree urbane, nel sesso femminile, per le pazienti affette da carcinoma della mammella e nelle persone con più elevato livello di istruzione.
Questi risultati sembrano essere allineati con analoghi studi sull’utilizzo delle CAM nella popolazione italiana ed europea in generale, così come analogamente nella popolazione oncologica italiana.
Le conclusioni precedentemente pubblicate da Molassiotis non possono pertanto essere considerate, a parere di Johannessen, come una stima nazionale sull’utilizzo delle CAM in pazienti oncologici italiani. Riflettono comunque un relativamente elevato utilizzo delle CAM fra le terapie palliative di questi pazienti. Così come viene confermato il maggiore ricorso a questi approcci nelle regioni settentrionali e nelle aree urbane. Il loro utilizzo (in Italia e fra i pazienti toscani in trattamento chemioterapico) sembrerebbe nello studio di Johannessen meno significativo che in altre nazioni europee.
A chiusura della lettura di questo lavoro, devo rilevare come il campione oggetto di studio sia particolarmente ridotto e come sia alquanto problematico estrapolare conclusioni di carattere generale partendo da numeri così esigui. Il tema mi sembra comunque di particolare interesse e meriterebbe ulteriori approfondimenti su scala più ampia. Rimane la considerazione che risulta, a mio avviso, meno interessante la speculazione su quanti pazienti oncologici si rivolgano alle CAM in Italia o in Europa mentre sarebbe probabilmente più significativo provare a domandarsi per quale ragione questo avvenga: insoddisfazione nei confronti degli approcci tradizionali o effettiva possibilità di ottenere un ausilio?
Giorgio Di Leone – Medico - Bari
L’accademico danese parte da un precedente lavoro pubblicato nel 2005 da Molassiotis et al. che segnalava come a fronte di una percentuale europea di utilizzo di medicine complementari e alternative (CAM) mediamente pari al 36%, in Italia tale percentuale si attestava su un significativo 73%. In quello studio veniva inoltre segnalata la predilezione degli italiani intervistati verso l’omeopatia, la fitoterapia e le “terapie spirituali”.
Utilizzando lo stesso questionario adottato da Molassiotis, Johannessen ha inteso ripetere l’esperienza in due day hospital oncologici toscani, includendo nel suo studio 132 pazienti in trattamento chemioterapico. Hanno risposto al questionario il 71% dei pazienti. Nel 17% dei casi è risultato il ricorso alle CAM successivo alla diagnosi di cancro (nel 52% dei casi fitoterapia, nel 30% omeopatia, e nel 13% agopuntura). L’utilizzo più frequente è ricorso nelle aree urbane, nel sesso femminile, per le pazienti affette da carcinoma della mammella e nelle persone con più elevato livello di istruzione.
Questi risultati sembrano essere allineati con analoghi studi sull’utilizzo delle CAM nella popolazione italiana ed europea in generale, così come analogamente nella popolazione oncologica italiana.
Le conclusioni precedentemente pubblicate da Molassiotis non possono pertanto essere considerate, a parere di Johannessen, come una stima nazionale sull’utilizzo delle CAM in pazienti oncologici italiani. Riflettono comunque un relativamente elevato utilizzo delle CAM fra le terapie palliative di questi pazienti. Così come viene confermato il maggiore ricorso a questi approcci nelle regioni settentrionali e nelle aree urbane. Il loro utilizzo (in Italia e fra i pazienti toscani in trattamento chemioterapico) sembrerebbe nello studio di Johannessen meno significativo che in altre nazioni europee.
A chiusura della lettura di questo lavoro, devo rilevare come il campione oggetto di studio sia particolarmente ridotto e come sia alquanto problematico estrapolare conclusioni di carattere generale partendo da numeri così esigui. Il tema mi sembra comunque di particolare interesse e meriterebbe ulteriori approfondimenti su scala più ampia. Rimane la considerazione che risulta, a mio avviso, meno interessante la speculazione su quanti pazienti oncologici si rivolgano alle CAM in Italia o in Europa mentre sarebbe probabilmente più significativo provare a domandarsi per quale ragione questo avvenga: insoddisfazione nei confronti degli approcci tradizionali o effettiva possibilità di ottenere un ausilio?
Giorgio Di Leone – Medico - Bari
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