Consiglio a tutti un’attenta lettura della sentenza del 6 settembre 2007 n. 34200 della Corte di Cassazione, Sezione VI Penale (scaricabile da questo sito). La Suprema Corte analizza il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna avverso la sentenza 28 settembre 2005 con la quale la stessa Corte di appello di Bologna, in riforma della decisione 3 luglio 2002 del Tribunale di Modena, assolveva Marcello M., perché il fatto non sussiste, per il reato di cui all'art. 348 c.p., per avere esercitato, attraverso visite mediche, diagnosi e terapie, l’attività di medico senza aver conseguito alcuna abilitazione all'esercizio della professione medica.
Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna, denunciando violazione dell'art. 348 c.p., osservava, più in particolare:
a) l’irrilevanza della libera scelta dei pazienti, considerato il bene protetto dall'art. 348 c.p.;
b) l'esclusivo rilevo del mancato conseguimento di titoli abilitativi, a prescindere dalla capacità, del M. di effettuare le cure e dall'esito di esse;
c) l’irrilevanza della innocuità dei prodotti prescritti;
d) il rilievo della prescrizione (anche verbale) o della diretta somministrazione di sostanze specificamente indirizzate all'eliminazione di una malattia o a lenirne i sintomi, comunque qualificabile come atto di esclusiva competenza del medico, a prescindere dal fatto che la prescrizione venisse formalizzata in una ricetta;
e) la circostanza che solo il medico può effettuare prescrizioni anche di "medicina alternativa".
Di particolare interesse risultano le motivazioni della sentenza. La Suprema Corte asserisce infatti che: “… non vale ad escludere l’omeopatia dalle professioni mediche la circostanza per la quale questa attività non sia oggetto di disciplina universitaria o di successiva professione per la quale è necessaria l'acquisizione di un titolo di Stato, esplicandosi comunque la detta metodologia in un campo la cura delle malattie corrispondente appunto a quello della medicina, per così dire, ufficiale”. E ancora: “Lo stesso oggetto dell'omeopatia, di fatto, non sembra così diverso da quello della medicina tradizionale, poiché, pur se attuato con metodi e tecniche da questa non riconosciuti, è finalizzato alla diagnosi e alla cura delle malattie dell'uomo. Se a ciò si aggiunge l’intrinseca eccentricità dell'omeopatia rispetto al sapere medico tradizionale, pare evidente, a fortiori, che l'esercizio di tale attività deve essere subordinato al controllo, di natura pubblicistica, dell'esame di abilitazione e dell'iscrizione all'albo professionale e, prima ancora, al conseguimento del titolo accademico della laurea in medicina”. Precisa inoltre che: “La norma in esame tutela, quindi, non certo interessi di tipo “corporativo”, ma l’interesse della collettività al regolare svolgimento delle professioni per le quali sono richieste una speciale abilitazione e la iscrizione nell'albo; con la conseguenza che la condotta costitutiva dell'abusivo esercizio, deve consistere nel compimento di uno o più atti riservati in modo esclusivo alla attività professionale. Tanto da far emergere come non sia il nomem della professione esercitata a designare il tipo di attività come corrispondente a quella esclusiva del medico ma le concrete operazioni eseguite, a meno che l’attività (ci si riferisce a modelli di confine con l’esercizio della professione medica) sia di per sé qualificabile come esercizio di attività esclusiva del medico e pure se, quando la professione è regolamentata dalla legge, il superamento dei limiti da essa tracciati comporta esercizio abusivo della professione medica”.
La Corte di Cassazione ricorda infine come: “La giurisprudenza di questa Corte si sia orientata nel senso che integra il reato di esercizio della professione medica la condotta di chi effettua diagnosi e rilascia prescrizioni e ricette sanitarie per prodotti omeopatici perché tali attività rientrano nell'esercizio di un’attività sanitaria che presuppone, per il legittimo espletamento, il possesso di un valido ed idoneo titolo; rimarcando che se i rimedi “omeopatici” non sono riconosciuti dallo Stato, certamente non sono vietati ma sono rimessi alla libera scelta dell'interessato d’accordo con il suo medico curante dal quale le ricette devono essere redatte”.
L’omeopatia in particolare, e le medicine complementari in generale, risultano talvolta terreno di conquista da parte di persone non in possesso dei necessari requisiti (laurea in Medicina e Chirurgia, abilitazione all’esercizio della professione e iscrizione all’Ordine dei Medici). Esiste una sola e semplice risposta a questi episodi: sono vietati a mente dell’art. 348 del c.p. e vanno denunciati all’Autorità Giudiziaria. E soprattutto, le conseguenze negative di questi atti illegittimi non vanno confusi con insuccessi della terapia omeopatica.
Giorgio Di Leone – Medico - Bari
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